Al Senato la sagra delle riforme. Autonomia in cambio di premierato
Autonomia differenziata C’è chi lo chiama scambio, chi mercimonio: la sostanza non cambia e la sostanza è che la maggioranza ha deciso di formalizzare nero su bianco, con apposito ordine del giorno […]
Autonomia differenziata C’è chi lo chiama scambio, chi mercimonio: la sostanza non cambia e la sostanza è che la maggioranza ha deciso di formalizzare nero su bianco, con apposito ordine del giorno […]
C’è chi lo chiama scambio, chi mercimonio: la sostanza non cambia e la sostanza è che la maggioranza ha deciso di formalizzare nero su bianco, con apposito ordine del giorno presentato al Senato e approvato con 88 voti a favore contro 59, l’accordo già stretto in campagna elettorale. Alla Lega l’autonomia differenziata che quasi disgusta FdI. Ai Fratelli il premierato che non piace né poco né punto al Carroccio. Per portare a casa il proprio obiettivo, ciascuno è pronto a sottoscrivere quello dei soci. Resta fuori, e non a caso, la terza grande riforma concordata dai tre partiti di maggioranza, quella in quota Forza Italia, la giustizia. Su quel punto la premier ha scelto di frenare a tavoletta.
L’odg presentato a sorpresa dai quattro capigruppo di maggioranza a palazzo Madama «impegna il Senato ad approvare il ddl Calderoli in tempi rapidi». Basta questo per capire che a insistere è stata la Lega, impegnata in una corsa contro il tempo per portare a casa la riforma che dividerà l’Italia in un paese di serie a e in uno di serie b prima delle elezioni europee. Incidentalmente è proprio quello che FdI, odg o non odg, vuole evitare. Condizione per l’approvazione del testo era un riferimento preciso alla «modifica costituzionale volta a realizzare la massima forma di democrazia attraverso l’espressione diretta della volontà popolare». Trattasi del premierato, ma è una formula tanto stentorea quanto vaga: può voler dire cose molto diverse e per la Lega tra queste non figura l’elezione del premier che comporti lo scioglimento automatico delle Camere in caso di sua caduta o di dimissioni spontanee.
Pd, M5S e Avs la hanno presa malissimo, anche per la forzatura formale. Ieri a palazzo Madama c’era la sagra prefestiva delle mozioni: se ne votavano, senza discussione generale ma con dichiarazioni di voto, ben 9, su questioni diversissime tra loro. Gli odg non erano previsti e l’irrituale sorpresa ha contribuito a scaldare gli animi. «Questo rischia di far saltare i nostri accordi e anche i rapporti tra maggioranza e opposizione», sbotta il capogruppo del Pd Boccia mentre quello di Avs, De Cristofaro, si concentra sul merito: «Due questioni rilevantissime vengono trattate come al mercato delle vacche. Almeno ciò ha il pregio di squarciare il velo d’ipocrisia della maggioranza». Per Maiorino, presidente dei senatori 5S, «la maggioranza mostra tutta la sua fragilità sentendo la necessità di mettere per iscritto questo scambio, perché non si fidano l’uno dell’altro».
Non è che non si fidano: è che ciascuno sa perfettamente di dover vincere resistenze che l’odg comune neppure riesce a mascherare. Mozioni e odg valgono quel che valgono e non è moltissimo. Nessun atto parlamentare del genere, per esempio, può sanare la sfasatura inevitabile tra una riforma che non è costituzionale, e che dunque ha tutto il tempo di essere approvata entro le prossime europee, come il cavallo di battaglia della Lega, e una che invece richiederà almeno un paio d’anni, come il vessillo di Fi. E nessuna limatura del testo, come quella che è stata necessaria ieri per partorire l’odg, può ovviare a dissensi politici in realtà profondi: l’intenzione dei tricolori di svuotare quanto più possibile l’autonomia di Calderoli, il progetto leghista di limitare il peso del premier eletto rendendolo sostituibile senza passare per nuove elezioni, la decisione dei due partiti securitari, FdI e Lega di evitare riforme della giustizia davvero garantiste, tanto più ora che non c’è più di mezzo l’ingombrante Cavaliere. Non significa che la mediazione sia impossibile, ma la strada non è affatto sgombra.
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