Internazionale

Al diavolo i Saharawi

Al diavolo i SaharawiMaradona durante il match di gala per i 40 anni dalla Marcia Verde, a Laayoun

Una Academy del Milan a Laayoune, nel Sahara Occidentale, dove il calcio è diventato uno strumento politico per legittimare l’occupazione marocchina. Aspettando i Mondiali nel regno di Mohammed VI

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 25 marzo 2018

Diceva Eduardo Galeano che «il calcio è la patria, il potere è il calcio». Osservazione azzeccata e utile per tutte le stagioni. Il pallone che rotola, ieri come oggi continua ad essere un gioco meraviglioso, che vive della passione che lo circonda. Affascina indiscutibilmente, a prescindere da età, sesso e latitudine dove viene praticato. Consapevoli di questo, innumerevoli classi dominanti ne hanno da tempo compreso la forza coercitiva.

UN FENOMENALE STRUMENTO di ricerca del consenso delle masse, che dalle nostre parti ha trovato la sua massima espressione nell’epopea del Milan berlusconiano. Che negli ultimi anni sembra aver lasciato il segno ben oltre il rettangolo di gioco, con il coinvolgimento di vari ex nelle vicende politiche dei paesi di provenienza. Andrej Shevcenko in Ucraina, Khaka Kaladze in Georgia e George Weah in Liberia. Gli ultimi due in particolar modo, tra ottobre 2017 e lo scorso gennaio, hanno ottenuto successi considerevoli, divenendo rispettivamente sindaco della capitale Tbilisi il primo, presidente della Liberia il secondo.

MA A FAR ROTEARE IL PALLONE rossonero verso le cronache politiche c’è anche un’altra questione, che riguarda la stessa società Milan. Il 5 dicembre 2017 infatti è stata annunciata ufficialmente l’apertura a Laayoune, capitale del Sahara Occidentale, di una sua «Academy», definizione con cui si identifica una rete di scuole calcio giovanili. Sono rintracciabili in 25 paesi diversi, coinvolgono 37 mila bambini e 1.500 tecnici. Una struttura imponente e ben organizzata che mira a «generare cultura sportiva e inclusione attraverso lo sport, mettendo al centro il benessere del bambino durante tutte le sue fasi di crescita», come chiaramente riportato nel sito del club. Sorprende quindi che una società così attenta alle proprie attività, abbia autorizzato l’apertura della Academy in un territorio che come ben noto è indebitamente occupato dal Marocco da oltre quarant’anni, rischiando di essere inclusa nella macchina di propaganda marocchina.

A tal proposito abbiamo interpellato, chiedendo spiegazioni, l’ufficio stampa dell’A.C. Milan: la risposta è stata che «..al momento siamo tutti impegnati sul campo, quindi non vi è possibilità di parlare con nessuno». Un pronunciamento che fa ben sperare per le sorti calcistiche dei rossoneri, ma che non chiarisce il quesito posto.

 

Laayoune News-Academy-Marocco 05.12

Una squadra di allievi della locale Milan Academy

 

 

L’APERTURA DELL’ACADEMY, come riportato dal comunicato stampa dei rossoneri, parla esplicitamente di «inaugurazione della nuova sede di Laayoune, cittadina nella provincia estrema del Marocco». Oltre l’inesattezza nella descrizione geografica della città, all’interno del testo redatto dal Milan emerge come la società abbia chiuso un accordo della durata di tre anni, con il sindaco Hamdi Ould Errachid.

Un personaggio quest’ultimo da non sottovalutare: oltre le cariche amministrative locali, è in contemporanea anche presidente della Sahara Footbal League e responsabile della commissione incaricata della relazioni con i paesi africani per conto delle federazione calcistica marocchina.

 

Laayoune Hamdi Ould Rachid
Il sindaco di Laayoun, Hamdi Ould Errachid

 

È UN VECCHIO AMORE quello del plenipotenziario Errachid: cronache locali raccontano di un suo, modesto, passato da calciatore; la sua pagina Facebook lo mostra continuanamente in foto di rito con squadre del luogo. È indubbio che abbia consapevolezza di quanto pesi nelle sorti politiche, passare attraverso il vettore sportivo. Questo spiega il suo assenso all’Academy del Milan e la presenza di questa all’interno di un disegno di ben più ampio respiro.

Il calcio è infatti da tempo al centro delle attenzioni del governo del Marocco. Nel 2015 per celebrare il quarantennale del 6 novembre della Marcia Verde, che ricordiamo essere l’invasione di 350 mila marocchini dei territori saharawi, proprio nello stadio di Laayoune e davanti alle autorità politiche nazionali e cittadine, sindaco incluso, andò in scena una partite tra vecchie glorie del football mondiale. Il nome più ingombrante fu indubbiamente quello di Diego Armando Maradona, affiancato da ex calciatori di peso come George Weah, il ghanese Abedi Pelé, l’egiziano Aboutrika, il brasiliano Gilberto Silva, l’uruguaiano Daniel Fonseca e gli italiani Francesco Toldo e Alessandro Altobelli. Stessa scena l’anno dopo: assieme al Pibe de Oro furono nuovamente presenti molti dei nomi citati, in primis Weah, con l’aggiunta della leggenda brasiliana Rivaldo.

La palla che rotola ci porta in realtà ancora più indietro, andando a svelare di come il regno di Mohammed VI già da tempo considerasse il calcio come un elemento fondamentale per dare una facciata di vernice fresca al regime. Quale miglior occasione quindi se non quella di ospitare la massima competizione mondiale, per proiettare definitivamente il paese nel futuro?

IL GOVERNO MAROCCHINO ha tentato ben quattro volte di candidarsi come paese ospitante dei mondiali di calcio nel 1994, 1998, 2006 e 2010. Al momento, contro ogni più rosea aspettativa, si sta giocando all’ultimo round l’assegnazione della World Cup del 2026 con il Nord America. Canada, Usa e Messico racchiuse in un unico blocco, contenderanno al Marocco il ruolo di paese ospitante: il risultato sarà reso noto dalla Fifa il prossimo 13 giugno a Mosca, il giorno prima dell’apertura dei Mondiali di quest’anno.

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