«Non riescono a immaginare come continueranno a crescere i propri figli in un ambiente simile. Hanno difficoltà a progettare il futuro». Della scomparsa della speranza per le strade di Gaza ha provato a dare un’idea ieri Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.

Lazzarini ha visitato per la quarta volta la Striscia in tre mesi e mezzo di conflitto mentre Gaza viveva il suo più lungo blackout di comunicazione: le linee telefoniche e internet sono ferme dal 12 gennaio, mai i precedenti erano stati così lunghi. I giornalisti palestinesi comunicano solo con i satellitari.

MENTRE Lazzarini proseguiva nella visita, dal valico di Rafah iniziavano ad entrare i pacchi di medicine frutto dell’accordo raggiunto martedì sera tra Hamas e Israele con la mediazione del Qatar e della Francia: medicinali diretti agli ostaggi israeliani, circa 130, ancora nella Striscia e alla popolazione gazawi.

Ieri due aerei qatarini sono arrivati in Sinai, il contenuto ha poi preso la strada di Rafah dove sono stati sottoposti ai controlli israeliani. Secondo Hamas, l’accordo prevedrebbe una scatola di medicine da consegnare agli ostaggi ogni mille scatole ai civili palestinesi. Della distribuzione si occuperà la Croce rossa.

Si spera così di alleviare, almeno in minima parte, la crisi umanitaria che vivono 2,3 milioni di persone. Ieri la Giordania ha fatto sapere che il proprio ospedale da campo a Khan Yunis, nel sud di Gaza, è stato danneggiato dall’esplosione di missili israeliani nelle sue prossimità, ma continuerà a lavorare. Un palestinesi in terapia intensiva sarebbe rimasto ferito.

È qua, a Khan Yunis, linea del fronte da settimane, che cresce la preoccupazione per le condizioni umanitarie: affollata di persone fuggite dal nord e dal centro, con pochissime strutture mediche funzionanti, rischia un destino simile a quello del nord, con devastazioni fisiche immani (ieri il Palestine Investment Fund parlava di 15 miliardi di dollari necessari a ricostruire solo le abitazioni private) e infrastrutture civili collassate.

Pure i cimiteri: ieri da Khan Yunis hanno denunciato con alcuni video il passaggio di bulldozer israeliani su un cimitero, come accaduto in precedenza. Testimoni parlano anche di corpi portati via, ma non è possibile verificare l’accusa. Proseguono gli scontri a terra: ieri altri tre soldati israeliani sono stati uccisi (193 dall’inizio dell’offensiva via terra, a fine ottobre).

SUL FRONTE israeliano la situazione politica resta incandescente. Ieri l’Association for Civil Rights in Israel, formata da gruppi ebrei e palestinesi, ha fatto un nuovo appello alla Corte suprema perché dia il via libera a una protesta contro la guerra ad Haifa.

L’Acri chiede il cessate il fuoco, il rilascio dei prigionieri e una soluzione politica, una richiesta di presidio che finora la polizia ha già vietato tre volte. È capitato a tante realtà e chi ha sfidato i divieti – l’ultima volta sabato scorso – è stato caricato dagli agenti e arrestato. Dopotutto, dice il governo, c’è la guerra. Lo ha ribadito ieri il premier Netanyahu: «La guerra continuerà fino alla fine e al raggiungimento dei nostri obiettivi. Che nessuno ci giudichi male. Continueremo a combattere fino alla vittoria totale».

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«Assalì un agente»: Cassif incriminato

Ofer Cassif, il deputato ebreo comunista del partito Hadash, ieri è stato incriminato per aggressione a pubblico ufficiale. Il caso risale al maggio 2022. Cassif partecipò a una protesta a Masafer Yatta, regione nel sud della Cisgiordania da anni minacciata di sgombero. Secondo l’accusa, Cassif avrebbe colpito, a bassissima velocità, con la sua auto un poliziotto che, con i colleghi, aveva chiuso la strada al traffico per impedire la protesta. Poi Cassif sarebbe sceso e lo avrebbe colpito al volto. Secondo Cassif, è stata la polizia a minacciarlo di violenza e a impedirgli il passaggio violando la sua immunità parlamentare.

Ieri il deputato ha parlato di «persecuzione politica e violenza di polizia». È già a rischio di espulsione dalla Knesset per aver firmato, con altri 200 israeliani, una lettera di sostegno alla causa sudafricana all’Aja.