Ai democratici mancano i voti, l’assoluzione di Trump è certa
Stati uniti Passo indietro di due dei quattro repubblicani "ribelli" che si erano detti intenzionati a proseguire il processo di messa in stato di accusa. Con un pareggio, 50 a 50, la messa in stato d'accusa potrebbe arenarsi
Stati uniti Passo indietro di due dei quattro repubblicani "ribelli" che si erano detti intenzionati a proseguire il processo di messa in stato di accusa. Con un pareggio, 50 a 50, la messa in stato d'accusa potrebbe arenarsi
Il destino del processo di impeachment di Trump pare essere segnato e la sua assoluzione certa. A deciderne l’esito sono stati il senatore Lamar Alexander, visto come il voto decisivo sull’opportunità di sentire nuovi testimoni, e la senatrice Lisa Murkowski, in bilico fino all’ultimo. Ai democratici sarebbero serviti quattro voti del Gop per convocare nuovi testimoni, tra cui John Bolton, ma questi voti non ci sono.
L’ex capo della sicurezza nazionale sarebbe stato un testimone importante: avrebbe sentito in prima persona Trump riferirsi a quello con l’Ucraina come a uno scambio per agevolare la sua campagna elettorale, screditando Biden.
Murkowski ha così giustificato la propria decisione: «Non ci sarà un processo equo in Senato. Non credo che il proseguimento di questo processo cambierà nulla. È triste per me ammettere che, come istituzione, il Congresso ha fallito».
Per Alexander, invece, «non sono necessarie ulteriori prove per dimostrare qualcosa che è già stata dimostrata e che non soddisfa la definizione costituzionale di “offesa incommensurabile”». Come a dire: anche se abuso di potere c’è stato, non è questa gran cosa.
I democratici hanno risposto cercando di rilanciare il processo, anche se con poche speranze. La portavoce dem alla Camera, Nancy Pelosi, ha affermato che se il Senato si rifiuterà di chiamare nuovi testimoni, l’assoluzione non sarà legittima.
Il capo della Commissione di Intelligence Adam Schiff ha cercato di confutare l’idea che nuove testimonianze prolungherebbero troppo il processo e ha suggerito di limitare le deposizioni a una settimana, come accaduto per il processo di impeachment di Clinton.
Per assicurarsi il voto Mitch McConnell, leader della maggioranza rep al Senato, nei giorni scorsi ha sottoposto i repubblicani riottosi al cosiddetto «tattamento», vale a dire un’opera di persuasione capillare e martellante, durante incontri personali in cui ha spiegato ai senatori che votare per la convocazione di nuovi testimoni sarebbe contro il loro interesse personale, rovinerebbe il partito e costituirebbe un precedente pericoloso.
La senatrice Collins, che con Romney, Murkowski e Alexander formava il quartetto necessario ai democratici, mercoledì è rimasta a colloquio con McConnell per cinque ore. Collins, come Romney, ha deciso di votare a favore delle nuove testimonianze, ma anche se Murkowski si fosse unita a loro, i democratici non avrebbero avuto i voti di cui hanno bisogno: un pareggio del 50-50 in un processo di impeachment significa che la mozione fallisce.
Il giudice supremo John Roberts potrebbe decidere di rompere questa prassi (le regole dell’impeachment sono vaghe e ci sono alcuni precedenti) ma è improbabile che lo faccia. Dopo quattro ore di dibattito sulla questione dei testimoni nel tardo pomeriggio/sera (troppo tardi per noi) il Senato voterà per gli articoli di impeachment.
Secondo i media Usa, il voto finale per scagionare The Donald potrebbe essere rinviato a mercoledì, dopo i caucus democratici dell’Iowa e il discorso del presidente su lo stato dell’Unione.
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