Il World Food Forum, per la terza volta dal 2021, ha trovato spazio alla Fao questa settimana per «accelerare l’azione climatica attraverso la trasformazione dei sistemi agricoli». Il Wff è un movimento e network condotto da giovani che tenta di trovare, attraverso incontri e laboratori con rappresentanti da tutto il mondo, ospitati nel grande edificio dell’Organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, di tagliare i confini che dividono i paesi e trovare una strategia comune ai problemi che affliggono l’umanità in toto, come la crisi climatica.

«La soluzione è un matrimonio tra il sapere indigeno e l’innovazione tecnologica» spiega Tafadzwa Malaika Kurotwi, 24 anni, attivista di Fridaysforfuture Kenya e parte dell’Emerald Climate Hub. «Per farlo dobbiamo assicurarci che le persone che sono in prima linea per gli effetti della crisi climatica e la fame, le donne, i giovani, il sud globale, abbiano una voce nello sviluppo delle nuove politiche», racconta mentre ricorda che alla Cop27 solo il 35% delle persone presenti era donna.

Shen, 22 anni, parte della delegazione giovanile dell’Unfcc, l’Organizzazione delle Nazioni unite per i cambiamenti climatici, viene da Hong Kong e vive in Svizzera. «Dopo lo spazio dato all’incontro organizzato sulle regional policy reccommendations ho sentito di aver avuto lo spazio per esprimere le mie istanze come persona giovane, questo non significa però anche che mi senta rappresentato. Ho potuto sviluppare le mie idee, ma spesso con così tante voci durante il processo diventano meno chiare e si perdono». Malika conferma: «Essere qui è fondamentale, ma ora sta ai rappresentanti ascoltarci».

Numerosi gli stand che mostrano nel concreto le tecniche di agricoltura sostenibili, una parete di piante senza vaso copre l’ingresso del grande atrio: grazie a delle tecniche di smart farming riescono a sopravvivere senz’acqua. «Ho potuto condividere i miei saperi indigeni, ma anche ascoltare quelli degli altri» spiega Malika. Racconta della grave siccità che ha colpito il Kenya nel 2015. «Vivevo in una fattoria e guadagnavamo con i prodotti che producevamo, ma quando non riuscivamo più a coltivare nulla ho rischiato di non poter andare a scuola, o anche mangiare».

Anche Sharon Gakii, 25, ha vissuto gli effetti più devastanti della siccità in Zimbabwe, il suo paese. Fa parte di YoUnGo, un braccio giovanile dell’Onu, e spera di portare il tema alla Cop28. La chiave per la sicurezza alimentare, viene sottolineato, è proprio quella di mettere in mano alle popolazioni locali gli strumenti per la propria autosufficienza e adattamento ai cambiamenti climatici.

La centralità delle voci dei singoli e delle comunità indigene è di certo il filo rosso che unisce le giornate del World Food Forum, ma possono materializzarsi solo in base alla politica dei governi.