«Immediata operatività». A palazzo Chigi avevano scritto così nel comunicato stampa con il quale l’11 maggio si dava notizia che il governo, addirittura collegialmente nella sede del Consiglio dei ministri, aveva autorizzato la presentazione di un emendamento per sbloccare 660 milioni destinati (attraverso i privati) a nuovi posti letto per gli studenti universitari ridotti in tenda dal caro affitti. Preso in contropiede dalla protesta, il governo aveva annunciato che l’emendamento avrebbe viaggiato con il decreto legge più veloce, quello presentato ad aprile sulla pubblica amministrazione in fase di conversione alla camera. Ieri però ha ritirato l’emendamento. Ha dovuto farlo perché un altro emendamento governativo, anche questo necessario per rimediare a un errore – la maggioranza aveva cancellato il previsto premio negli appalti pubblici alle aziende che realizzano la parità di genere – era stato addirittura dichiarato inammissibile.

Uno scivolone clamoroso perché è assai raro che una proposta di modifica spinta dal governo incappi nelle maglie dei presidenti di commissione, in questo caso due perché il decreto Pa è all’esame congiunto della prima e undicesima. Si fatica a trovare un precedente, probabilmente bisogna tornare indietro di sei anni. L’errore è tanto clamoroso che subito dopo l’annuncio dell’inammissibilità dell’emendamento sulla parità di genere fatto dal presidente della commissione affari costituzionali Pagano nel suo speach al mattino (emendamento 11.2 inammissibile), fonti sia del governo che della camera raccontavano una storia diversa: l’emendamento sarebbe stato ritirato per iniziativa del governo. Ma non è così, quello ritirato è l’altro emendamento, quello sui posti letto universitari. L’effetto retromarcia è identico. Ma nel secondo caso, messo sull’avviso dalla dichiarazione di inammissibilità, l’esecutivo ha evitato una seconda bocciatura certa e ha indietreggiato da solo.

«Nessun problema», si è diffuso in spiegazioni il ministro per i rapporti con il parlamento Ciriani, principale indiziato nella caccia al responsabile della brutta figura. «È una mera questione tecnica, gli emendamenti sono già stati ripresentati», ha detto il ministro mentre le opposizioni attaccavano l’imperizia del governo. E qualcuno sospettava persino che fosse stata tutta una manovra per andare alle elezioni amministrative avendo annunciato due misure popolari ma irrealizzabili. In realtà la sequenza dei fatti fa propendere per l’errore: gli emendamenti sono stati infatti spostati su un altro decreto legge, quello omnibus «amministrazione enti pubblici» che era già stato presentato quando il governo aveva deciso di indirizzare i suoi emendamenti sul decreto sbagliato. Ma di questo nuovo «veicolo normativo», per citare Ciriani, non è ancora cominciato l’esame. Altro che «immediata operatività».