La diffusione degli affitti brevi turistici è il fenomeno che negli ultimi dieci anni ha trasformato di più l’abitare e le città in buona parte del mondo. In Italia, però, nulla è stato fatto per regolarlo.

NEL 2019 nelle aree più centrali e turistiche di sei capoluoghi (Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Roma e Venezia) le percentuali ci case su Airbnb andavano dall’11% (a Napoli) al 32,4% (a Bologna). «Il mercato degli affitti brevi in Italia non è regolato da una prospettiva abitativa e urbanistica, ma solo fiscale», afferma la ricercatrice in urbanistica Francesca Artioli. «Ci sono i codici identificativi regionali e il famoso codice nazionale, che servono a conoscere, misurare e apportare un po’ più di trasparenza in un mercato molto opaco. Non permettono però di proteggere la residenzialità di lungo periodo», continua Artioli. Nel 2017 è stata introdotta una cedolare secca del 21% per gli affitti inferiori a 30 giorni, in teoria regolati da contratti stipulati da persone fisiche e al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. Nel 2020 il governo ha previsto l’obbligo di esercizio dell’attività in forma imprenditoriale per host (chi dà in affitto un bene) con più di quattro appartamenti, con l’unico reale effetto di aumentare il grado di incoerenza fiscale a favore della rendita immobiliare. Nel 2021 è stata annunciata la creazione di una banca dati nazionale delle locazioni brevi. Intanto, l’emergenza abitativa è esplosa.

LO SPOSTAMENTO dell’offerta privata di case sul mercato turistico, ripreso dopo la pandemia, sta facendo sparire le locazioni ordinarie, già in calo da trent’anni, proprio mentre la domanda aumenta anche per via del peggioramento delle condizioni lavorative. In questo scenario gli affitti brevi turistici sono un divaricatore di disuguaglianze. Bastano infatti 120 giorni di affitto breve per guadagnare l’equivalente di un anno di affitto ordinario, secondo la società di consulenza Nomisma.

IN EUROPA già dal 2013 molte amministrazioni comunali hanno introdotto limiti alla crescita degli affitti turistici. Barcellona, Parigi, Amsterdam e più recentemente Lisbona, Berlino, Londra, Vienna «hanno regolato per proteggere le case e il tessuto residenziale e socio-economico dei quartieri, soprattutto quelli in cui la pressione turistica è intensa- dice Artioli – Per farlo si sono dotate di strumenti urbanistici come cambi di destinazione d’uso e sistemi di licenze, indicizzate rispetto al numero di abitanti o unità abitative, per limitare la trasformazione di immobili e appartamenti residenziali di lungo periodo in locazione breve. Spesso l’hanno fatto lasciando aperta la possibilità di svolgere l’attività in modo occasionale e di integrazione del reddito, ma cercando di limitare coloro che gestiscono o possiedono centinaia di case date in affitto breve. Chiaramente questo implica limitare la proprietà privata e l’iniziativa economica privata per finalità di interesse collettivo».

Gianluca Bei e Filippo Celata, «Sfide ed effetti della regolazione degli affitti brevi. Una valutazione controfattuale delle città europee»

UNO STUDIO di prossima pubblicazione curato dai ricercatori in geografia economica dell’università La Sapienza Filippo Celata e Gianluca Bei dimostra che nelle città che hanno introdotto limiti agli affitti brevi, anche moderati, il numero di interi appartamenti residenziali affittati a turisti è inferiore di circa il 30% rispetto al caso di città che non hanno adottato nessuna regolamentazione. «Dimostriamo anche che si riduce il grado di professionalizzazione e il rapporto tra interi appartamenti e stanze in affitto» aggiunge Celata. Quando gli strumenti in mano agli enti locali non erano sufficienti ci sono state pressioni per introdurre e modificare leggi nazionali, come nel caso di Parigi.

ANCHE IN ITALIA una campagna dal basso, partita da Venezia, sta raccogliendo adesioni per promuovere l’approvazione di una norma nazionale che consenta ai comuni italiani di limitare gli affitti turistici. La campagna «Alta tensione abitativa» (Ata) ha elaborato una proposta di legge quadro che sarà presentata oggi a Venezia. Questa definisce alcuni principi di base: limitare il numero di immobili dati in locazione breve; applicare le limitazioni anche a chi già svolge questa attività; attribuire ai comuni la facoltà (non l’obbligo) di individuare limiti e zone dove applicarli; evitare l’aggregazione di autorizzazioni in capo a un singolo soggetto; garantire comunque l’esercizio, al di fuori di regimi di autorizzazione, delle attività che non hanno un impatto sulla residenzialità e che sono realmente riconducibili alla sharing economy, come nel caso della locazione di singole stanze o intere case per un massimo di 90 giorni.

PRESENTATA il 6 marzo 2022 al Teatro Toniolo di Mestre, in occasione della proiezione del film di Andrea Segre Welcome Venice, la proposta di legge è stata modificata con un percorso condiviso con amministratori locali, urbanisti, giuristi esperti e abitanti di altre città. L’idea, adesso, è allargare la campagna oltre Venezia. Hanno aderito e saranno presenti al dibattito comitati, attivisti e amministratori di Bologna, Milano, Padova, Trento, Trieste e della Regione Lazio. Ci saranno anche la segretaria del Sunia Toscana Laura Grandi e i deputati Luana Zanella (Alleanza verdi-sinistra) e Nicola Pellicani (Partito democratico).

A LUGLIO 2022 il governo ha approvato un emendamento presentato da Pellicani per disciplinare le locazioni turistiche a Venezia, ma il comune non ha ancora utilizzato la norma. «L’appuntamento di oggi vuole spronare il sindaco ad agire. Lo strumento c’è, manca la volontà politica di applicarlo», commenta Giacomo Salerno della campagna Ata.

VENEZIA È SCESA sotto la soglia dei 50mila abitanti. Secondo i dati analizzati dall’osservatorio indipendente sull’abitare in laguna «Ocio» il primo motivo di emigrazione è la casa. Un’analisi del 2016 rileva che il 70% degli acquirenti di immobili a Venezia è straniero e il 75% degli acquisti è fatto per investimento. In Europa anche questo tema è stato affrontato: nel 2022 Amsterdam ha imposto ad acquirenti di case di un valore fino a 512mila euro il divieto di locazione. In un comunicato il sindaco di Amsterdam ha dichiarato: «le case sono fatte per essere abitate, non per guadagnarci».