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Affari con l’Iran, Lady Huawei negozia il suo rilascio con gli Usa

Affari con l’Iran, Lady Huawei negozia il suo rilascio con gli UsaMeng Wanzhou

Cina/Usa Meng Wanzhou, arrestata a Vancouver nel 2018, nega di aver bypassato le sanzioni. Ma restano in prigione in Cina i due canadesi detenuti per rappresaglia

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 5 dicembre 2020

Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei, potrebbe lasciare il Canada e fare ritorno in Cina. Il dipartimento di Giustizia degli Stati uniti starebbe trattando con il team legale di «Lady Huawei» per consentire il suo rimpatrio nel Paese orientale. A una condizione.

La donna, che da due anni è ai domiciliari a Vancouver, deve ammettere la sua responsabilità in riferimento alle accuse di frode bancaria e per aver eluso le sanzioni americane imposte all’Iran tramite la piccola società tecnologica Skycom Tech.

LO RIPORTA il Wall Street Journal, secondo cui gli avvocati della cfo di Huawei stanno discutendo con le autorità giudiziarie americane sulla possibilità di raggiungere un accordo che, in caso di collaborazione della donna, porterebbe al rinvio del processo o al ritiro di tutte le accuse nei suoi confronti. Un percorso che si preannuncia tutto in salita.

Meng, arrestata all’aeroporto di Vancouver il 1° dicembre 2018 su mandato di Washington, ha sempre negato le accuse e si è opposta fermamente all’estradizione negli Usa.

Lo scorso maggio, la corte suprema della British Columbia aveva stabilito che le accuse di frode a carico di Meng soddisfacevano il principio della cosiddetta «doppia criminalità», per cui i fatti contestati da Washington costituiscono reato anche in Canada.

La magistratura canadese ha sempre voluto fare luce sui crimini finanziari commessi da «Lady Huawei», che avrebbe nascosto a investitori e banche, come il gruppo britannico Hsbc, gli affari del colosso tecnologico cinese in Iran. A corroborare questa tesi sono state le rivelazioni della Reuters lo scorso giugno.

L’agenzia stampa è venuta in possesso di fascicoli e documenti interni a Huawei che dimostrerebbero come l’azienda cinese abbia venduto materiale tecnologico statunitense nel Paese degli ayatollah attraverso l’azienda iraniana Skycom Tech; secondo i documenti ottenuti dalla Reuters, la Skycom, sempre descritta da Huawei come un partner locale iraniano, era invece sotto il controllo della società cinese.

Nel 2013, infatti, il colosso tecnologico cinese ha cercato di separare la sua attività da quella della società iraniana per evitare problemi di natura legale.

MA L’ARRESTO della cfo di Huawei, che Pechino ha sempre considerato di natura politica, ha deteriorato i rapporti diplomatici tra Canada e Cina. Qualche giorno dopo il fermo di Meng, il 10 dicembre 2018 due cittadini canadesi, l’ex diplomatico Michael Kovrig e l’uomo d’affari Michael Spavor, sono stati fermati in Cina con l’accusa di spionaggio, formalizzata lo scorso giugno. Per simili reati, la pena inflitta dalla magistratura cinese, posta sotto il controllo del Partito comunista cinese, è il carcere a vita.

In 24 mesi di detenzione, si hanno avute poche notizie sullo stato di salute dei due uomini, costretti a interrogatori dalle sei alle otto ore al giorno e privati di un’assistenza legale.

Nel silenzio della comunità internazionale, il primo ministro canadese Justin Trudeau ha più volte chiesto il loro immediato rilascio, definendo la detenzione «arbitraria».

Anche se Meng decidesse di patteggiare, riconoscendo le accuse in cambio della libertà, è improbabile che ci saranno ripercussioni positive per Spavor e Kovrig. Ma potrebbe essere una vittoria per l’amministrazione Trump nella guerra tecnologica in atto contro la Cina.

IL PRESIDENTE USCENTE in questi anni si è impegnato a compiere pressioni sui Paesi stranieri per impedire di utilizzare la rete 5G di Huawei, ritenuta un’arma di spionaggio nelle mani del Pcc.

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