Addio a Tony Benn, “piantagrane” del Labour
Inghilterra Scompare a Londra all’età di 88 anni l’ultimo dei grandi socialisti inglesi. Campione di coerenza e pacifista inflessibile, una vita spesa nel tentativo (vano) di portare il suo Labour su posizioni più intransigenti
Inghilterra Scompare a Londra all’età di 88 anni l’ultimo dei grandi socialisti inglesi. Campione di coerenza e pacifista inflessibile, una vita spesa nel tentativo (vano) di portare il suo Labour su posizioni più intransigenti
Tony Benn, scomparso venerdì a Londra, dove era nato ottantotto anni fa, è stato l’ultima di molte cose: ultimo grande socialista inglese nei brandelli semantici che questa parola si ostina a trattenere, ultimo custode di una tradizione di agire politico la cui inflessibile coerenza era considerata pericolosa dalla stampa di destra e controproducente da quella di centrosinistra, ultimo rappresentante di un’epoca in cui il classismo della società britannica aveva solidità ancora totemica. Ultimo – infine – dei radicali eminentemente inglesi: nonconformista puritano e poco marxista, nemico dell’economicismo e paladino di un’idea cristiana di democrazia.
L’accento, come i modi e il portamento, ne hanno sempre denunziato le origini irrimediabilmente aristocratiche da lui impiegate, fin dal suo ingresso in parlamento a venticinque anni d’età, non per dividere ma per unire, per raggiungere il più vasto numero di orecchie, cuori e cervelli possibile, in una carriera politica spesa nel vano tentativo di portare a sinistra il Labour e segnata da lotte molto aspre con i compagni, ma in cui l’odio personale non trovò mai spazio.
Eterna spina nel fianco del suo partito, Benn – che nel 1981, in pieno governo Thatcher e sotto la leadership di Michael Foot, fu protagonista di una feroce lotta per la vicesegreteria contro Denis Healey che provocò la scissione da cui scaturì la socialdemocratica Spd (poi confluita nei Libdem) – è accusato di averne minato la capacità di porsi come reale alternativa al dominio thatcheriano e thatcherista. Fin quando, naturalmente, dopo quasi un ventennio, non sarebbe arrivata la rivincita di un altro Tony, Blair: ma a patto di un avvicinamento talmente smaccato alla politica – e ai privilegi – del nemico da risultarne, oggi, virtualmente indistinguibile.
Il suo è stato una specie di Winterreise politico, percorso tutto controvento. Dopo aver rinunciato, primo nella storia, al proprio seggio ai Lord – che gli spettava in linea ereditaria – per mantenere quello ai Comuni (fece una campagna lunga tre anni perché la possibilità fosse introdotta), divenne una delle figure di spicco della sinistra del partito, un troublemaker impenitente: temuto dai nemici, mal sopportato dagli amici, ma sempre ammirato da entrambi per lo spessore etico. Antitedesco ai limiti della germanofobia (aveva servito nella Raf durante la Seconda guerra mondiale), contrario all’armamento nucleare, protezionista eppure internazionalista, anti Nato, a favore del ritiro dall’Irlanda del Nord, Benn era un cocktail di eterodossie.
[do action=”citazione”]Governatore delle poste nel governo Wilson, cercò di rimuovere la testa della regina almeno dai francobolli[/do]
Il suo mezzo secolo di militanza, cominciata tutto sommato da deputato moderato per la circoscrizione di Bristol negli anni Cinquanta (ricoprì vari incarichi ministeriali nei governi laburisti degli anni Settanta) – durante la quale il Labour compì la lunga marcia verso il centro simboleggiata dall’abbandono della famigerata «clausola 4» sulle nazionalizzazioni poi compiuta da Blair -, lo vide diventare unico inflessibile custode dell’anima socialista del partito. In qualità di governatore delle poste nel governo Wilson (che mal lo sopportava e disse che diventava immaturo con l’età) cercò di rimuovere la testa della regina almeno dai francobolli, anche se il collo figurativo della sovrana resistette meglio di quello vero.
Benn propose infaticabilmente riforme in senso democratico ai meccanismi elettivi del partito, avvicinandolo alle Unions, lasciandosi perfino avvicinare da frange trotzkiste del partito come Militant, che allora praticavano il cosiddetto «entrismo». Questo le rese un paria.
Dopo la sconfitta elettorale sotto Foot, nel 1983, da molti considerata la più cocente della storia del partito, e l’avvento di Neil Kinnock come leader, che lo sconfisse malamente nel 1988, cominciò il suo lento scivolare ai margini, fino al momento del ritiro dal parlamento, nel 2001, «per meglio dedicarmi alla politica». Cominciò allora un’intensa attività editoriale (fu un diarista ossessivo) e di figura di riferimento per la generazione dell’attivismo post-Seattle e contro l’invasione dell’Iraq (incontrò Saddam Hussein due volte.) Ma la metamorfosi da «uomo più pericoloso della Gran Bretagna», come lo definì un tabloid, a innocuo «tesoro nazionale», ugualmente amato da amici e nemici, era compiuta.
Resta la prescienza dimostrata negli anni Ottanta sull’evolversi della società e della politica del suo Paese, esemplificata al meglio da questa dichiarazione: «Il Regno Unito è solo superficialmente governato da deputati e dagli elettori che li votano. La democrazia parlamentare è, in verità, poco più che un mezzo per assicurare un cambiamento periodico nel team manageriale, a cui poi si lascia presiedere un sistema che resta essenzialmente intatto». Alzi la mano la democrazia liberale europea che non vi si riconosce.
Nella solita, triste parabola degli incendiari che muoiono pompieri, Benn ha nutrito e difeso con determinazione fino all’ultimo la sua piromania.
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