Visioni

«Adagio», tra fantasmi e sopravvissuti il romanzo criminale nella Roma di oggi

«Adagio», tra fantasmi e sopravvissuti il romanzo criminale nella Roma di oggiGianmarco Franchini in «Adagio» – foto di Emanuela Scarpa

Venezia 80 Il film di Stefano Sollima è il terzo italiano in concorso. Un ritorno nella capitale in un paesaggio contemporaneo di malavita sfacciata, polizia corrotta e giovani sbandati

Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 settembre 2023

Mentre il week end scivola via, falcidiato dall’assenza di star internazionali – a cui compensa però l’overdose italiana – è arrivato sul Lido il terzo (dei sei) film italiano: Adagio di Stefano Sollima, che a dispetto del titolo non è una variazione di Bernstein, pure se la musica è quanto separa dal mondo uno dei suoi protagonisti. Era un titolo atteso, Sollima è un regista italiano che lavora all’estero, negli Stati uniti dove ha realizzato Soldado (2018), Senza rimorso (da Tom Clancy, 2021), e la mini-serie tv Zero-Zero-Zero. Per non dire delle serie cesure nell’immaginario nostrano (anche con effetti piuttosto stereotipati) da Gomorra (dal romanzo di Saviano) a Suburra. Del resto è sin dai suoi primi film, come A.C.A.B. Che Sollima ha dichiarato la sua strada (cinematografica) scegliendo il «genere» da praticare e reinventare – in diverse forme e contaminazioni.

Un film di genere si è detto, in cui il regista sembra ritrovare un po’ le diverse piste delle sue esperienze precedenti (non senza autofrerenzialità)

COSA È allora Adagio? Un ritorno a Roma, la sua città, dopo molto tempo all’estero, che tiene insieme un paesaggio contemporaneo di criminalità sfacciata, di corruzione poliziesca, di ragazzini che ci finiscono in mezzo per caso – a cui si oppongono i fantasmi di un’altra criminalità – che è anche un’altra idea del genere, di storie criminali, i sopravvissuti malamente della Banda della Magliana. Che dormienti e malandati vengono stanati quando il figlio di uno di loro un po’ fuori di testa (Toni Servillo) si mette contro una banda di carabinieri marci che hanno avuto i soldi per un ricatto. Il ragazzo scappa da un vecchio amico del padre ormai cieco (Valerio Mastandrea) e poi da un altro finito in galera proprio per colpa del genitore, Pierfrancesco Favino, onnipresente anche se non perde occasione pure qui per attaccare le scelte di far interpretare da attori «stranieri» personaggi italiani – riferendosi a Ferrari per cui Mann ha voluto Adam Driver, su cui anche Sollima ha un progetto.

E INSOMMA che film è Adagio? Un film di genere si è detto, in cui il regista sembra ritrovare un po’ le diverse piste delle sue esperienze precedenti (non senza autofrerenzialità) – a un certo punto di sente Tutto il resto è noia di Califano che accompagnava quei vecchi malandati di oggi nella loro ascesa quando erano ragazzi in Romanzo criminale. Una sfida maschile, tra diversi codici della criminalità, e un passaggio di generazioni tra padri e figli, che ciascuno di loro ne ha: qualcuno è appena diventato padre, qualcun altro li ha perduti, qualcun altro ancora non li ha mai voluti e c’è chi come il capo dei carabinieri, il più sanguinario (Giannini) cerca di tenerli. È questione di soldi, i soldi che l’avvocato gli chiede e che senza quei figli la moglie potrebbe portarglieli via. Ma ciascuno di loro a questi figli non ha nulla da dare, in questo «romanzo criminale» di oggi, lungo l’orizzonte di una città che – specie Roma est – che brucia, divorata da incendi, blackout, con la gente che sembra perdere la testa nel caldo di giorni e notti soffocanti.
Un caos, di ricatti, feste, marchette, trappole politiche Fa un effetto un po’ già visto o vagamente compilativo. Con l’impressione che non si va mai oltre: tutto è svolto come si deve, lo script illustra, il controllo del mezzo (che innegabilmente la regia di Sollima ha) esegue. E dopo?

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