«Stiamo rafforzando il nostro impegno contro Rafah. L’operazione andrà avanti e aumenterà con altre forze di terra e dall’aria. Raggiungeremo i nostri obiettivi». Parole del ministro della difesa Yoav Gallant non che lasciano spazio a interpretazioni. Come quelle di Avi Hyman, un portavoce del governo Netanyahu: «Nessun potere sulla terra fermerà Israele dal proteggere i suoi cittadini e perseguire Hamas nella Striscia». Dichiarazioni date alla vigilia della decisione che comunicherà oggi la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, su richiesta del Sudafrica, su un possibile stop alla guerra a Gaza e all’attacco in corso a Rafah, e che seguono il nuovo via libera all’offensiva israeliana nel sud della Striscia dato due giorni fa dal Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati uniti, Jake Sullivan, secondo il quale «finora abbiamo visto operazioni limitate a Rafah».

CERTO NON APPAIONO «limitate» alle centinaia di migliaia di abitanti e sfollati che ancora restano nella città sul confine con l’Egitto e che non hanno seguito gli oltre 800mila palestinesi scappati verso Khan Younis, l’area agricola dei Mawasi e Deir al Balah. Nella notte tra mercoledì e giovedì bombardamenti e cannonate hanno ucciso almeno 38 palestinesi, riferivano ieri fonti del ministero della sanità a Gaza. I carri armati israeliani sono avanzati nel sud-est di Rafah, quindi verso il quartiere occidentale di Yibna e preso posizione in tre sobborghi orientali della città. «Sentiamo esplosioni e vediamo fumo nero salire dalle aree in cui sono entrati gli israeliani», ha raccontato un abitante su Whatsapp. «La città di Rafah è ora composta da tre situazioni diverse – spiega Suze van Meegan, della Ong Consiglio norvegese per i rifugiati – L’est è una zona di guerra a tutti gli effetti, il centro è una città fantasma e l’ovest è una massa di persone che vivono in condizioni catastrofiche». Per il portavoce militare israeliano invece la città è soltanto un bastione di Hamas e dei suoi combattenti.

«HAMAS È A RAFAH – ha detto – Hamas tiene i nostri ostaggi a Rafah ed è per questo che le nostre forze stanno manovrando a Rafah…Finora abbiamo eliminato dozzine di terroristi di Hamas, scoperto dozzine di tunnel del terrore e distrutto grandi quantità di infrastruttura». Parallelamente, le forze armate israeliane hanno intensificato con effetti devastanti anche l’offensiva di terra a Jabaliya, dove hanno raso al suolo aree residenziali e colpito la vicina città di Beit Hanoun. Carri armati e aviazione hanno attaccato di nuovo il campo profughi di Nuseirat uccidendo 16 palestinesi, tra i quali 10 minori, riferiva ieri l’agenzia Wafa aggiungendo che una bomba ha colpito la moschea Fatima in cui si erano rifugiate decine di famiglie sfollate dal nord.

Dopo la visita, nei giorni scorsi, del Patriarca latino Pierbattista Pizzaballa a Gaza city, la Chiesa cattolica è tornata ieri ad avvertire che la piccola comunità palestinese cristiana (1.017 persone) rischia di scomparire da Gaza. 250 persone sono già uscite dalla Striscia e non intendono farvi ritorno perché l’offensiva israeliana non conosce soste e i tempi della ricostruzione si annunciano molto lunghi. Monsignor Shomali, uno dei principali esponenti della Chiesa cattolica in Terra santa, ha denunciato le condizioni di vita degli sfollati cristiani e ricordato le decine di vittime del bombardamento israeliano dello scorso anno nell’area della chiesa di San Porfirio.

Spiraglio di luce per l’Unrwa, la principale agenzia dell’Onu presente a Gaza, boicottata e presa di mira da Israele a inizio gennaio perché considerata «collusa» con Hamas, accusa sempre respinta dall’organizzazione umanitaria.

SECONDO IL MINISTRO degli esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, «tutti i donatori dell’Ue hanno ripreso a sostenere l’Unrwa» dopo la sospensione dei finanziamenti seguita alle accuse lanciate da Israele. In un post sui social media, Borrell ha descritto l’Unrwa come «un’ancora di salvezza indispensabile a Gaza e nella regione». Tuttavia, un funzionario delle Nazioni unite ieri sera ha detto di non avere ancora conferma delle affermazioni fatte Borrell. Israele non ha fornito prove della «collusione» dell’Unrwa con il movimento islamico dopo aver denunciato che 12 dipendenti dell’agenzia avevano partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Perciò nelle settimane passate i paesi che avevano tagliato i fondi subito, senza consentire all’Unrwa di difendersi dalle accuse, hanno ripreso i finanziamenti: ha cominciato per prima la Germania seguita da Australia, Canada, Svezia, Giappone e Austria. Non si alcuna notizia dal governo Meloni, tra i più solleciti ad accogliere la richiesta di sanzionare l’Unrwa lanciata da Israele. Mentre gli Usa, i donatori più importanti dell’agenzia, sono fermi sul taglio dei fondi.

RESTA SEMPRE tesa la situazione al confine Israele e Libano. Il rischio di massiccio attacco di terra israeliano nel sud del paese dei cedri contro Hezbollah è alto. Ieri il premier Netanyahu ha visitato il Comando Nord e alla fine del tour ha detto che le forze armate hanno «piani dettagliati, importanti e persino sorprendenti per ristabilire la sicurezza nel nord e riportare i residenti alle loro case». Gli scontri sulla linea di frontiera intanto proseguono. Un missile israeliano ha ucciso un insegnante e ferito tre studenti libanesi.