A tu per tu con la violenza di noi maschi
In una parola La rubrica settimanale su linguaggio e società. A cura di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale su linguaggio e società. A cura di Alberto Leiss
Dopodomani, giovedì 13, alle 21,20 è in programma su Rai 3 il film “Nel cerchio degli uomini”, ideato e realizzato dalla regista Paola Sangiovanni e prodotto da Kon-Tiki Film in collaborazione con Rai Documentari.
Per quasi un’ora e mezzo la macchina da presa scandaglia parole, racconti, scambi di gruppo, confessioni, espressioni dei volti, delle mani, dei corpi di uomini che si interrogano su che cosa sia e che cosa potrebbe essere l’identità maschile. In un mondo cambiato dalle donne che cercano la loro identità, libertà, il loro desiderio. Oltre i condizionamenti, l’oppressione violenta dell’ordine patriarcale.
Il “cerchio degli uomini” è una postura, fisica e dialogica, ma è anche un gruppo, una associazione che esiste da molto tempo a Torino. Alcuni di questi uomini li ho conosciuti nella rete di Maschile plurale. Come hanno raccontato, l’idea di formare il “cerchio” è nata dalla semplice constatazione di come cambia il modo di parlare se sono presenti anche donne: amiche, compagne, mogli.
È scattato il desiderio di approfondire l’esperimento di “parlarsi tra uomini”, non per ritrovare l’agio e le complicità tipiche in certi luoghi “naturalmente” separati, al lavoro, al bar, in palestra, allo stadio o sul campetto da pallone. Ma per scovare i non detti, i non pensati. Provare a mettere in parola i disagi, che si provano proprio in quei luoghi per soli uomini. O uomini soli.
Dopo qualche anno il gruppo ha affrontato anche il nodo, durissimo, della violenza. E questo ha prodotto la volontà di avere a che fare con altri uomini consapevoli di aver agito violenza, e in cerca della capacità di liberarsene. È stato a lungo un “servizio” offerto a maschi che imboccavano volontariamente questo percorso. Oggi, e in forza di leggi recenti come il cosiddetto “codice rosso” (2019), arrivano al “cerchio” anche uomini obbligati a farlo dalle norme. Qualcosa di molto diverso, e problematico.
Ho visto il film a un’anteprima a Roma. Ero molto teso. Ho sempre il timore che presentare pubblicamente queste esperienze possa creare l’equivoco: ecco a voi, finalmente, i “maschi buoni”. In questa pioggia di notizie quotidiane su violenze fisiche e psicologiche contro le donne, di frasi indecenti pronunciate da uomini in delicate posizioni istituzionali, pure esistono da qualche parte. Per esempio in quel “cerchio” di Torino.
Ma il rischio di questo malinteso “edificante” mi sembra che il film lo sappia evitare, come lo evitano i protagonisti. Non aggiungo altro perché temo di non essere obiettivo, trattandosi come ho detto di vecchi e cari amici.
Mi piacerebbe però che il film fosse visto, e discusso. Del resto questa è l’idea sulla quale anche l’autrice ha insistito: farne uno strumento di dibattito pubblico.
Alla presentazione ci sono stati molti spunti per una discussione che la cronaca rende sempre più necessaria. Nel film – è stato detto da qualcuno del “cerchio” – c’è poco un pezzo di storia che è partita da scambi molto intensi col femminismo. Scambio che oggi andrebbe riaperto con le donne impegnate nei Centri anti-violenza, sul tema controverso dei servizi rivolti agli uomini autori di violenza.
Finanziare queste pratiche danneggia il lavoro dei centri per le donne? Come se ne misura l’efficacia? Quanto può la legge, davvero, contro la violenza maschile? Registro, tra le altre, la disponibilità al confronto venuta nell’occasione dalle amiche dell’ Associazione Be Free e dell’Associazione D.i.re.
Credo che il lavoro di chi si mette a tu per tu con la violenza maschile sia irrinunciabile non solo per tentare di cambiare la vita di alcuni, ma – forse ancor più – per aumentare la consapevolezza di tutti.
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