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A tu per tu con Hassan Nasrallah

A tu per tu con Hassan NasrallahHassan Nasrallah

Memoria diplomatica Il pensiero vola al ricordo dei colloqui a tu per tu con Hassan Nasrallah quand’ero ambasciatore a Beirut. La prima volta nel 1998

Pubblicato circa 21 ore faEdizione del 3 ottobre 2024

Di primo acchito si rimane «affascinati» dalla tecnologia d’Israele: migliaia di apparecchi cercapersone esplodono all’unisono in tutto il Libano. Poi il fascino lascia il posto all’orrore, leggendo del ragazzo che ha visto il proprio braccio strappato via con l’aggeggio che teneva in mano; o dell’altro giovane a cui l’esplosione ha distrutto una gamba e i genitali. E l’indomani leggi ancora che centinaia di walkie-talkie sono esplosi in simultanea, seminando ulteriori morti e mutilati. Le vittime non sono tutte di Hezbollah, tantissimi sono gli innocenti.

Hezbollah ha subito un colpo durissimo. Eppure il partito resiste, fa parte del Parlamento, è radicato da trent’anni nelle comunità sciite più derelitte, dotandole di dispensari, scuole, ambulatori in sostituzione di un governo indifferente. Il pensiero vola al ricordo dei colloqui a tu per tu con Hassan Nasrallah quand’ero ambasciatore a Beirut. La prima volta nel 1998. Al mattino avevo visitato all’ospedale tre bambini gravemente feriti durante un raid israeliano. Poi ero entrato nel quartiere popolare dove lui teneva casa e bottega: lì nessun attacco aereo l’avrebbe colpito senza provocare stragi di innocenti. All’ingresso del caseggiato (ora polverizzato) occhi attenti e barbe folte facevano trasparire una ferrea sorveglianza.

Una scala dimessa, una saletta ammobiliata con divani orrendi, una oleografia dozzinale della moschea al Aqsa era quanto poteva offrirmi il leader di Hezbollah. Ma appena entrò, compresi perché era rispettato come un liberatore. Il suo carisma era palpabile: imponente, barba ben curata, mi salutò con effusione, ringraziando per gli aiuti che l’Italia portava nel sud del Paese. «L’America – disse – ci considera terroristi. Perché? Perché lottiamo contro l’entità sionista che occupa il Sud e terrorizza i nostri fratelli, sciiti e cristiani, che hanno la sventura di vivere lì.

Lei, ambasciatore, ha potuto vedere quante vittime e distruzioni provocano gli attacchi israeliani. Hanno un solo scopo: sfiancare il morale dei libanesi per indurli a rivoltarsi contro di noi, ma non ci riusciranno. In questi anni io ho avuto modo di leggere qualcosa sulla resistenza in Europa contro il nazismo; i nazisti chiamavano “terroristi” e “banditi” i vostri partigiani. Forse che la nostra resistenza è diversa?». I rapporti che inviai in seguito servirono a poco: l’Europa al traino degli Usa inserì Hezbollah tra i movimenti terroristici (ma solo l’ala militare, un distinguo sul filo dell’ipocrisia).

Nel maggio del 2000 Israele evacuò il Sud del Libano sotto occupazione. Alla vigilia mi chiamò l’ufficio del Primo Ministro per chiedermi di accompagnarlo a «riprendere possesso» della zona. Solo dopo capii il perché di tale invito. Arrivammo accolti da folle festanti. Nel villaggio di el-Khiam un fabbricato tetro era la prigione dove venivano rinchiusi e spesso torturati i miliziani di Hezbollah catturati. Alcuni attrezzi di tortura erano ancora visibili. Il lavoro sporco era stato affidato a collaborazionisti locali, in genere cristiani maroniti, da poco fuggiti oltre confine; avevano abbandonato al loro destino cristiani impauriti dalle probabili vendette di Hezbollah. Per questo il governo riteneva utile la presenza di un diplomatico, meglio se italiano. Ma era una precauzione fuori luogo: Nasrallah, infatti, diede ordine di consegnare alla giustizia ogni collaborazionista catturato e non si verificò un solo caso di vendetta.

In altra occasione fui invitato per conto di Nasrallah ad assistere all’Ashura, la solennità islamica che commemora l’imam Hussein, nipote del Profeta, ucciso nella battaglia di Karbala. Molti fedeli sciiti la celebrano flagellandosi il petto e la schiena a sangue. Ma perché ero stato invitato? Lo capii quando sullo schermo apparve il leader per dire alla folla: «Se volete mostrare la vostra fede con un gesto utile, risparmiatevi le frustate. Date piuttosto il vostro sangue agli ospedali. Quelle ambulanze sono qui apposta per fare i prelievi e Allah ve ne renderà merito».

La guerra tra Israele e Hezbollah, nel 2006, fu devastante per il Libano. Nasrallah non poteva più fidarsi di ricevere estranei alla sua cerchia ristretta. Tuttavia mi fece sapere che i caschi blu dell’Unifil, tra cui primeggiavano gli italiani, sarebbero stati sempre benvenuti.

Finora l’intesa è stata rispettata. L’Unifil non ha subito attentati: o meglio, nessuno firmato Hezbollah. Le uniche vittime sono state quattro militari uccisi dagli israeliani nel 2006 in un fortino pur “protetto” dell’Onu e sei spagnoli falciati nel 2007 da un’autobomba innescata da miliziani sunniti, per dimostrare che la sicurezza nel Sud non era garantita dal partito sciita; e da ultimo, nel 2022, un irlandese colpito in un’imboscata, forse per gli stessi motivi.

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