Lavoro

A Piacenza in piazza per difendere i sindacati di base

A Piacenza in piazza per difendere i sindacati di baseManifestazione contro gli arresti dei sindacalisti della logistica – Sebastiano Rossi

Sotto processo Più di duemila persone hanno sfilato per i sindacalisti arrestati e accusati di associazione a delinquere: «Le lotte non si processano»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 luglio 2022

Dalle fabbriche alle scuole, dalle realtà autogestite alla Rete degli studenti medi, passando per famiglie e bambini: in testa, dietro lo striscione «Le lotte non si processano, la vera associazione a delinquere sono i padroni», un lungo spezzone del sindacalismo autonomo e di base. Se non è una prova di forza (e maturità), poco ci manca.

In una placida e rovente Piacenza, guardato a vista da un imponente cordone di sicurezza, un corteo eterogeneo, pacifico e colorato di oltre 2 mila persone ha sfilato per chiedere la libertà dei sindacalisti arrestati con accuse pesantissime e molto discusse: associazione per delinquere finalizzata alla violenza privata, sabotaggio e resistenza. «Sotto processo c’è il diritto di sciopero, la repressione non fermerà le nostre lotte sindacali che hanno dato dignità a migliaia di lavoratori prima trattati come schiavi», dicono dal furgone bianco che apre il lungo serpentone, e il corteo parte da piazzale Marconi, di fronte la stazione ferroviaria di Piacenza.

Sotto la lente della procura sono finiti scioperi, vertenze, picchetti e «i blocchi». Ossia la pratica delle manifestazioni fuori dai cancelli degli hub della logistica in cui erano aperte vertenze, che bloccavano autisti, merci e lo smistamento dei pacchi delle grandi multinazionali.

«Ogni reato commesso, ogni blocco di persone e merci, ogni interruzione di pubblico servizio o boicottaggio, ogni conflitto fisico con le forze di polizia è stato pianificato, cercato e voluto dagli indagati che hanno agito sempre nella convinzione di poter lucrare posizioni di privilegio, quasi una sorta di immunità dietro l’esercizio del diritto di sciopero» si legge nelle 350 pagine dell’ordinanza.
«È un attacco politico che vogliono fare contro di noi e noi lo respingeremo», sono le parole pronunciate al megafono nei confronti della magistratura in piazzale Marconi, di fronte alla stazione ferroviaria di Piacenza, luogo del concentramento.

«Siamo qua per portare solidarietà ai nostri compagni, colpiti da questa scure della giustizia, dalle menzogne». Con un’ora di ritardo, alle 15:00 il corteo parte per una serpentina che toccherà Piazzale Roma, via Colombo, via Trieste e rientro alla stazione: la zona multietnica della città, dove risiedono proprio quei facchini che lavorano al Polo Logistico di Piacenza, un “mostro” da 3 milioni di metri quadrati e 10 mila lavoratori h24. «Continuiamo il corteo con la lotta e con gli scioperi: andiamo avanti in tutte le città, ricordando i nostri compagni uccisi durante le lotte: salario, diritti e dignità».

Tutto parte martedì, all’alba, con gli arresti. Ai domiciliari ci sono il coordinatore nazionale del SI Cobas, Aldo Milani, e tre dirigenti piacentini, Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli, oltre a due dirigenti dell’Usb, Abed Issa Mohamed e Roberto Montanari. Sono tutti agli arresti domiciliari. Altri due sindacalisti indagati hanno ricevuto l’obbligo di firma e il divieto di dimora a Piacenza. Il 22 luglio si è celebrato il primo interrogatorio davanti al Gip del Tribunale di Piacenza, dove tutti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere facendo, comunque, dichiarazioni spontanee.

«Un attacco alla pratica sindacale, al diritto di sciopero» è stato il leit motiv. Ora militanti e iscritti aspettano la pronuncia del Riesame sulla richiesta di libertà avanzata da tutti gli indagati. Arriverà solo nei primi giorni di agosto. «Se a loro hanno dato associazione a delinquere, a noi dovrebbero darci l’ergastolo: scioperiamo, abbiamo una cassa di resistenza e siamo in assemblea permanente da un anno. Siamo qui per loro, per i compagni arrestati» dice Matteo Moretti, che raggiungiamo sotto il celebre striscione «Insorgiamo» del collettivo di fabbrica Gkn di Firenze. «Noi siamo Fiom, Cgil, ma siamo un collettivo di fabbrica in assemblea permanente da un anno che affronterà processi assurdi, come loro. Non potevamo non esserci. Toccano loro, toccano noi. In GKN – prosegue Moretti – scioperiamo contro il contratto collettivo nazionali per miglioralo, è capitato di scioperare con il CCNL metalmeccanici, che viene firmato dall’organizzazione di cui facciamo parte, scioperando abbiamo un accordo in fabbrica migliorativo sull’articolo 18. Il teorema della magistratura è assurdo», sbotta.

«Alle 17:30 forse piove» urla un manifestante, e scatta l’applauso. Ma alle 17:15 il corteo ritorna davanti alla stazione. «A Piacenza si stanno subendo minacce e repressioni continue, da un paio di anni a questa parte, da Questura e governo cittadino che impediscono di fare scioperi e lotte per i diritti dei lavoratori».

Tra i manifestanti girano le fotocopie dell’intervista di Alessandor Delfanti, sociologo. «Il caso Piacenza è peculiare perché ha un’anomalia all’interno di un ciclo globale della logistica. Gli scioperi i blocchi, i picchetti sono diventati pane quotidiano nei porti di Rotterdam, Los Angeles, Hong Kong. Insomma questi metodi di lotta sono diffusi. La caratteristica tutta piacentina sembra essere invece il carico anomalo di denunce, arresti, repressioni che tali lotte si portano poi dietro».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento