Le ragazze sono stanche, non ce la fanno più. E sono anche molto arrabbiate. Si capisce dall’aria che tira a Palermo, in Piazza Bellini, intorno alle diciotto, quando le persone cominciano a radunarsi per il corteo regionale convocato da Non Una Di Meno, nell’appuntamento finale dopo quattro giorni di proteste in tutta Italia. Sullo striscione principale ci sono scritte tre frasi diverse, solo apparentemente slegate: «Ti rissi no», le parole simbolo delle proteste nate dopo il caso di stupro di gruppo in città, «Liberi corpi in liberi spazi» e sotto ancora, con un carattere diverso, un’accusa dritta: «Siete tutti coinvolti».

«NON CI BASTA PIÙ ribadire il no agli stupratori e agli uomini violenti, è arrivato il momento di tirare in causa tutto il sistema che nutre e alimenta le violenze: i tribunali, le caserme, la stampa, il sistema educativo, sanitario – spiega Chiara Paladino, portavoce di Non Una di Meno Palermo – abbiamo chiamato a raccolta la Sicilia con la voglia di narrare la nostra condizione di meridionali che in maniera più acuta vivono la mancanza di servizi, i tagli continui al welfare, la mancanza di attenzione salvo poi, quando c’è il caso eclatante, dipingere con una buona dose di antimeridionalismo il quadretto del sud retrogrado».

Al concentramento a piazza Bellini, in pieno centro, gli interventi si susseguono alternati alla musica, centinaia e poi migliaia di persone si addensano ai vari angoli della piazza e nelle vie adiacenti. Le fasce di età sono tutte rappresentate ma i giovani e le giovani sono sicuramente la fetta più consistente. Le figure istituzionali rare e difficili da individuare, data la richiesta delle attiviste di non portare simboli e bandiere di partiti e sindacati. La Cgil di Palermo tuttavia ha aderito con un comunicato. In piazza c’è anche qualche consigliere comunale e Valentina Chinnici e Sergio Lima, rispettivamente deputata regionale e dirigente nazionale del Pd.

Per il resto il corteo è composto da associazioni, collettivi, centri antiviolenza. Spicca lo striscione di «Le Onde», luogo rifugio storico di Palermo, attivo fin dai primi anni ’90 nel sostegno alle donne vittime di violenza domestica. «Non abbiamo mai chiuso nemmeno un giorno, ogni anno si rivolgono a noi circa 500 donne, abbiamo dovuto sviluppare delle competenze di alto livello in termini di progettazione, l’unico modo che abbiamo per garantire la presenza sul territorio è vincere bandi locali, nazionali ed europei», racconta Maria Grazia Patronaggio.

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IN PIAZZA ANCHE LA RETE di associazioni che compongono il Palermo Pride. Luigi Carollo, il coordinatore, spiega come la galassia lgbtq+ sta elaborando i fatti di questa estate: «Nel percorso verso il prossimo Pride vogliamo mettere al centro la violenza maschilista non in chiave solidaristica ma con un’autocritica. Partire dalla mascolinità tossica presente anche nel mondo gay ed lgbt, appunto “siete” e “siamo” tutti coinvolti. Al comune di Palermo vogliamo chiedere di aprire uno spazio di confronto pubblico con il movimento sul concetto di sicurezza della città. Se non lo farà siamo disposti a ritirare la richiesta di patrocinio, sarebbe un atto politico significativo».

Il corteo da piazza Bellini si tuffa in via Maqueda per poi girare a via Vittorio Emanuele, tutte strade del centro ai cui lati si dispongono le facce curiose dei turisti. L’aria però è ancora tesa, si respira poco la gioia che aleggia spesso nei cortei femministi. Serviranno quattro, cinque interventi accorati a sciogliere la tensione e l’attacco potente di I will survive per spingere le teste a muoversi a ritmo e gli sguardi di complicità a sfrecciare nell’aria.

Si prosegue per tappe, in una delle prime c’è un j’accuse feroce al mondo dell’informazione. Al centro della critica non solo l’uso dei topos letterari deresponsabilizzanti come «il mostro», «le bestie» o «il raptus di gelosia» ma anche l’invadenza giudicante nella vita privata delle vittime e gli articoli «in cui sono descritte minuziosamente le violenze sui nostri corpi per solleticare nel pubblico quella curiosità morbosa che fa audience a discapito di chi queste violenze l’ha subite e si trova a riviverle di nuovo in maniera pubblica» e poi ancora a chiudere uno speech infuocato: «Questa è pornografia del dolore, cari giornalisti anche voi siete violenti».

E il furore transfemminista continua, dopo alcune centinaia di metri il corteo si ferma ancora per un intervento, davanti al palazzo della Procura. Bersaglio delle critiche è il sessismo dei tribunali ma anche il ministro Piantedosi, presente a Palermo il giorno prima per l’inaugurazione di una centrale operativa di controllo del territorio, occasione nella quale, quasi posseduto da uno slancio di progressismo, ha detto che «le ragazze devono essere libere di uscire in minigonna».

Il netto contrasto alle soluzioni repressive e securitarie del governo è forse il tema centrale di tutto il corteo. Prima del cameo del ministro dell’Interno il prefetto della città aveva convocato un tavolo sulla sicurezza. La prima risposta alla notizia dello stupro della giovane palermitana era stato un blitz nei quartieri popolari che ha colpito soprattutto i venditori ambulanti.

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IL CORTEO POI SI FERMA in un minuto di silenzio dedicato alle vittime di femminicidio, 80 dall’inizio dell’anno. Le ultime Rossella Nappini, infermiera romana di cui ieri si sono tenuti i funerali e Marisa Leo, siciliana, in suo ricordo è stato lanciato un corteo a Salemi per il 15 settembre. Aveva denunciato il suo assassino ma denunciare non è bastato a mantenerla in vita.

Dal microfono una ragazza di Catania grida forte: «Il femminicida ha le chiavi di casa, le stesse chiavi che teniamo strette in un pugno quando torniamo a casa sole la sera. Nessuno ce l’ha insegnato ma abbiamo scoperto di farlo tutte».