Nonostante gli arresti di massa, negli Stati Uniti le manifestazioni di protesta contro il bombardamento israeliano di Gaza non accennano a diminuire.

Venerdì sera a New York il gruppo di ebrei newyorkesi Jewish Voice for Peace ha portato migliaia di persone a occupare pacificamente l’atrio della stazione di Grand Central. Gli organizzatori hanno definito il sit-in «una delle più grandi disobbedienze civili che New York City abbia visto negli ultimi 20 anni». Il Dipartimento di Polizia di New York ha affermato di avere arrestato circa 200 persone, mentre gli organizzatori parlano di un numero che supera i 300.

A Grand Central lunghe file di giovani in manette e con indosso felpe nere con le parole «Non nel nostro nome» e «Cessate il fuoco adesso» stampate in bianco. «È importante che la nostra comunità non sia silente – dice Mike, 57 anni – Questo gruppo è stato fondato nel 1996, non ci siamo improvvisati attivisti ora, ma quello che sta accadendo in questo momento, se sei ebreo è più rivoltante che mai. New York è una piazza importantissima da dove alzare la voce per dissociarsi da questa destra che domina Israele».

Sempre a New York, un’altra voce di protesta di è alzata da Brooklyn, con una serie di manifestazioni organizzate da Within Our Lifetime, un’organizzazione comunitaria fondata nel 2015 a New York e guidata dalla comunità palestinese. Le manifestazioni sono cominciate alle 15, le 21 italiane, troppo tardi per essere coperte dal nostro giornale, ma gli elicotteri hanno iniziato a sorvolare i tre luoghi del concentramento, il museo di Brooklyn, il teatro del Barclays center e il ponte di Brooklyn.

Anche negli atenei le manifestazioni continuano, sia nei campus pubblici che in quelli delle università private, dove i direttori, specialmente quelli a capo delle università più liberal, si trovano nella scomoda posizione di mediare fra i ricchi donatori che minacciano di tagliare i fondi se le manifestazioni contro Israele continueranno, e gli studenti che non hanno alcuna intenzione di smettere la protesta. Le manifestazioni pro Palestina si stanno estendendo anche agli studenti delle scuole superiori e ai presidi dei vari istituti privati

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Per risolvere la questione un candidato Gop alla presidenza, il senatore del South Carolina Tim Scott, ha affermato che gli studenti universitari stranieri che protestano contro Israele dovrebbero avere il visto revocato ed essere espulsi dagli Usa. Jim Banks e Jim Duncan, deputati repubblicani, hanno accolto favorevolmente la proposta del compagno di partito e hanno dichiarato: «Già abbiamo un numero record di immigrati illegali provenienti da nazioni che ospitano terroristi, ora dobbiamo chiudere il confine e poi espellere tutti i simpatizzanti di Hamas non cittadini. L’amministrazione Biden ha l’autorità legale e l’obbligo di farlo».

Dal canto suo il governatore della Florida e candidato alla nomina repubblicana per la corsa alla Casa Bianca, Ron De Santis, si sta muovendo per far sciogliere il gruppo di Justice for Palestine, accusandolo di attività terroristiche.

Se la posizione dei repubblicani è omogenea, diverso il discorso all’interno del partito democratico dove Joe Biden deve confrontarsi con la sinistra che vorrebbe vedere delle posizioni diverse da parte della Casa Bianca. La miracolosa unità del partito democratico dietro al presidente, durata anni, sta cominciando a erodersi a causa del suo sostegno a Israele, mentre si va formando una coalizione di sinistra composta da giovani elettori e afroamericani che mostra nei confronti di Biden più scontento che mai.

Online, molti progressisti si sono già espressi, accusando Biden di favorire la violenza contro i palestinesi, e prevedendo che il prossimo anno pagherà per questo un prezzo elettorale, vista l’importanza dell’elettorato giovane e di sinistra e degli elettori neri, musulmani e arabo-americani, emersi come un collegio elettorale democratico cruciale alle ultime elezioni.