«A» nello skyline di Trieste
Centoquarantadue metri di lunghezza, otto punti e un eliporto. Da un anno e mezzo lo yacht più grande del mondo è fermo nel porto della città. Bloccato dalle sanzione contro la Russia
Centoquarantadue metri di lunghezza, otto punti e un eliporto. Da un anno e mezzo lo yacht più grande del mondo è fermo nel porto della città. Bloccato dalle sanzione contro la Russia
Centoquarantadue metri di lunghezza e un centinaio in altezza, un peso di 12.600 tonnellate, otto ponti e l’eliporto: talmente grande che lo si vede da dovunque si guardi il golfo di Trieste. E’ il sailor yacht «A», una presenza che ormai fa parte del panorama quotidiano e si è fatta l’abitudine anche a quella estetica francamente dubbia. Si dice abbia poltrone e divani di pelle di coccodrillo, maniglie e rubinetti d’oro, quadri di Monet e il fondo della chiglia di vetro. Uno yacht con due motori diesel e due elettrici ma con tre alberi che lo rendono anche un veliero: lo yacht e/o la barca a vela più grande del mondo, primo in tutti i registri navali grazie al suo nome anche se piace raccontare che il suo proprietario russo Andrey Igorevich Melnichenko lo abbia chiamato «A» per dedicarlo alla moglie Aleksandra. «Si dice» perché in realtà se ne sa ben poco se non che Melnichenko è uno degli uomini più ricchi del mondo e che lo yacht è fermo a Trieste da un anno e mezzo in forza delle sanzioni contro la Russia.
IL SUO CASO, e non è l’unico, è ora approdato alla Corte di giustizia europea, che dovrà districarsi da un particolare ingarbuglio giuridico che tocca un supersensibile tasto politico. Tutto parte nel 2014 con i militari russi in Crimea: il Consiglio dell’Unione europea emana un regolamento che prevede il congelamento dei fondi e delle risorse economiche dei cosiddetti oligarchi russi inseriti in una black list costantemente aggiornata. Beni, dunque, non requisiti, confiscati, sequestrati o espropriati ma «congelati»: tolti alla disponibilità dei proprietari fino a data da destinarsi, riscattabili in futuro pagando la cifra corrispondente alle spese sostenute dai governi per la loro conservazione e amministrazione, vendibili se nessuno li rivendicherà e alla fine, acquisiti al patrimonio dello Stato se nessuno li comprerà. Vale, in Italia, per un numero imprecisato di ville e un pugno di yacht e anche qua «si dice» perché i dati di tutta questa operazione sono «riservatissimi».
Melnichenko nega di essere il proprietario di SY«A» ed infatti il ricorso al Tar del Lazio contro il fermo è stato presentato da cinque società, quattro controllate interamente da una quinta con sede alle Bermuda che, a sua volta, è stata conferita all’interno di un trust il cui attuale gestore è una società fiduciaria di diritto svizzero. Sospendendo il giudizio, la Seconda sezione del Tar del Lazio ha ritenuto di non pronunciarsi rimettendo il giudizio alla Corte di giustizia Ue.
SY«A» staziona a Trieste da gennaio 2022: prima in un bacino di carenaggio e poi facile preda della Guardia di Finanza che l’11 marzo ha consegnato l’ordinanza di fermo al comandante che, si dice, sia francese e, come regola vuole, non può abbandonare la nave. Dell’equipaggio non si sa nulla tranne che «è rimasto quasi tutto a bordo» e che «le caratteristiche tecniche dell’imbarcazione SY“A” la rendono unica e per la sua gestione è di fondamentale importanza che sia presente a bordo un equipaggio che abbia la completa conoscenza di tutte le particolarità e raffinatezze tecnologiche di cui è dotato» (Agenzia del Demanio FVG marzo 2022). Si suppone una decina di persone, il minimo, sapendo che in navigazione SY«A» poteva contare su un equipaggio di più di cinquanta membri.
SECONDO il Demanio in una intervista alla Adnkronos, a maggio 2022 gli yacht congelati in Italia erano tre: il «Lady M» a Imperia, il «Lena» a Sanremo e, appunto, SY«A» a Trieste. Risulterebbe congelato, però, anche il chiacchieratissimo yacht da 140 metri «Scheherazade» che da mesi è fermo nel porto di Marina di Carrara e che si diceva appartenesse a Vladimir Putin in persona ma che sembra invece appartenere al miliardario Eduard Yurievich Khudainatov che però non risulta iscritto nella black list europea. Poi ci sarebbe anche Dmitry Arkadievich Mazepin, proprietario di due yacht, che è riuscito ad anticipare la notifica di fermo e a farli portare uno in Turchia e l’altro in Tunisia ma risulta «ricercato» dalla Guardia di Finanza di Olbia.
E’ passato quasi un anno e mezzo e poche cose sono certe: l’Agenzia del Demanio è investita della gestione e dell’amministrazione ordinarie del bene congelato, paga gli stipendi e assicura il rifornimento della cambusa e del carburante mentre la Capitaneria di Porto controlla che nessuno si avvicini a meno di 500 metri e che SY«A» resti là dove gli si è detto di stare. Tutto questo costa al contribuente italiano, a spanne, un cifra che viaggia intorno ai 30.000 euro al giorno. Per il fermo di SY«A» avremmo già speso, quindi, quasi 15 milioni. Alle spese per gli yacht, beninteso, andrebbero aggiunte quelle per un numero imprecisato di «complessi immobiliari» di cui si trova qualche esile traccia nei siti governativi tutti infarciti di «omissis». I venti milioni stanziati dalla legge 51/2022 sembrano allora pochini mentre appare credibile l’analisi di Bloomberg: l’Italia spenderebbe 40 milioni di dollari all’anno solo per la manutenzione degli yacht congelati e dunque, da un punto di vista finanziario «è un disastro totale».
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