Siamo tornati al 1994, a quasi trent’anni fa. Il risultato delle elezioni di domenica scorsa ci costringe a riavvolgere il nastro delle leggi maggioritarie italiane per trovare un caso paragonabile di distorsione del voto popolare. L’anno del primo successo di Silvio Berlusconi fu anche il primo in cui gli italiani votarono con un sistema (in buona parte) maggioritario, il Mattarellum, autore l’attuale presidente della Repubblica. Allora al centrodestra edificato in pochi mesi dal Cavaliere bastò il 42,85% del voto popolare per ottenere alla camera 366 seggi, il 59,09% del totale. La «disproporzionalità», cioè la quota di seggi regalata ai vincitori dal sistema maggioritario e di conseguenza tolta a tutte le altre coalizioni e partiti, fu dunque del 15,24%. Una percentuale di distorsione molto simile, leggermente inferiore, a quella che è servita a consegnare al centrodestra di Giorgia Meloni il controllo pieno del prossimo parlamento, percentuale che è stata del 16% come abbiamo già raccontato ieri.

Non è un record, perché tra le due vette del 1994 e del 2022 c’è stato il caso limite del 2013 con una diversa legge elettorale, il famigerato Porcellum di Calderoli. Con quella legge il premio di maggioranza non era più nascosto nella quota di collegi uninominali (il 75% con il Mattarellum) ma era esplicito ed era assegnato alla coalizione prima classificata sotto forma di un minimo di seggi garantiti: 340 (il 55% della camera). Nel 2013 accadde però che il centrosinistra di Bersani superò di un’inezia il centrodestra di Berlusconi, appena dello 0,2% dei voti, conquistando così i 340 deputati partendo da una percentuale di voti reali molto bassa: il 29,55%. Il premio di maggioranza risultò così enorme, di oltre 24 punti. Tanto enorme che pochi mesi dopo le elezioni la Corte costituzionale lo cancellò, stabilendo che era illegittimo non prevedere almeno una percentuale minima di voti veri alla quale agganciare il premio di governabilità.

Nelle altre elezioni dell’era maggioritaria – quelle del 1996 e 2001 con il Mattarellum, quelle del 2006 e 2008 con il Porcellum e quelle di cinque anni fa con la legge oggi in vigore, il Rosatellum – è scattato un premio di maggioranza assi più contenuto, tra il 3% e il 9%. Perché ogni legge funziona in rapporto a come i partiti e le coalizioni si organizzano. Questa volta gli avversari del centrodestra presentandosi, ognuno per conto proprio, hanno regalato un vantaggio in partenza a Meloni e alleati. Ed è per questo che il premio effettivo ai primi classificati è stato così alto. Cinque anni fa era bastato che ci fossero in campo due forze di dimensioni simili – il Movimento 5 Stelle e il centrodestra – e una terza più piccola ma non lontanissima – il centrosinistra – per contenere la distorsione entro i 5 punti percentuali.

Stavolta gara è finita diversamente proprio per il modo diverso con il quale hanno deciso di partecipare i contendenti: uniti da una parte, divisi dall’altra. Ma «alle elezioni si partecipa tenendo conto della legge elettorale che c’è, non di quella che si vorrebbe», commenta il senatore del Pd (rieletto) Dario Parrini, presidente uscente della prima commissione del senato. Secondo Parrini «Pd, 5 Stelle e Calenda devono riflettere bene. Con le divisioni solo in una delle due metà di campo siamo riusciti a far funzionare una legge come il Rosatellum che prevede una quota di tre ottavi di maggioritario (i seggi uninominali, ndr) come se fosse il Mattarellum che era molto più maggioritaria, prevedendo i tre quarti di seggi uninominali».

Tra i difetti del Rosatellum c’è anche quello che è una legge elettorale va in tilt quando un partito vince troppo in un’area concentrata e ha esagerato nel candidare più volte le stesse persone. E i 5 Stelle ci sono ricascati. Già cinque anni fa a causa delle pluricandidature si erano trovati in Sicilia e in Campania con più seggi vinti che aspiranti deputati e senatori. Stavolta il caso si presenta nella collegio proporzionale 2 della circoscrizione Campania 1 (Napoli e provincia) della camera, dove il partito di Conte con il 41,36% ha conquistato sei deputati della lista proporzionale. Lista che contiene quattro nomi. In questi casi si recuperano eletti dall’altro collegio proporzionale della stessa circoscrizione, solo che tra eletti altrove ed eletti all’uninominale ci sono solo quattro nomi «disponibili». Le complicate regole del Rosatellum prevedono che in questi casi estremi si possano eleggere persino i candidati bocciati nelle sfide uninominali, ma nella circoscrizione Campania 1 i 5 Stelle hanno vinto tutte le sfide maggioritarie, sette su sette. E allora? Non potendo cedere eletti a una coalizione (i 5 Stelle corrono da soli) il partito di Conte andrà a pescare due deputati altrove, non per forza al sud, magari al centro o al nord. Un bel modo anche questo di distorcere il voto degli elettori, in questo caso napoletani.