Internazionale

A Gaza raid sulla scuola e sul mercato. Hamas: «No al nuovo accordo»

Il tetto collasso nella scuola Mustafa Hafez, a Gaza City, dopo un bombardamento israeliano foto ZumaPress/Hadi DaoudIl tetto collasso nella scuola Mustafa Hafez, a Gaza City, dopo un bombardamento israeliano – ZumaPress/Hadi Daoud

Palestina/Israele Decine di palestinesi uccisi. Il movimento islamico rigetta le condizioni poste da Netanyahu, Il Cairo apre (forse) sul controllo israeliano del corridoio Philadelphi. Recuperati i corpi di sei ostaggi, l’esercito ammette: forse morti nei bombardamenti

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 21 agosto 2024

Erano passate poche ore dall’ennesimo bombardamento israeliano contro una scuola di Gaza quando è arrivata notizia di un’altra strage: nel pomeriggio di ieri l’aviazione di Tel Aviv ha colpito un mercato nel centro di Deir al-Balah.

«È STATO UN DRONE – riporta su al Jazeera la giornalista Hind Khoudary – Abbiamo visto molti feriti, per lo più bambini, arrivare in ospedale sulle ambulanze…L’ospedale al-Aqsa soffre per la mancanza di equipaggiamento medico. Da quando le forze israeliane hanno preso il corridoio Philadelphi nella Striscia non entrano forniture». Prima dell’attacco «non ci sono stati avvertimenti, per questo ci sono state tante vittime». Almeno dieci.

Stessa dinamica – nessun avvertimento – poco prima a Gaza City: il bombardamento della scuola Mustafa Hafez, almeno dodici palestinesi uccisi in un edificio che come gli altri istituti scolastici è dal 7 ottobre rifugio agli sfollati. Lì dormivano circa 700 persone, la maggior parte di Shujayia. La storia è identica a quelle raccontate per tante scuole prima: Tel Aviv ha affermato che la Mustafa Hafez era un centro di comando di Hamas, senza fornire prove che in ogni caso non autorizzerebbero il bombardamento di una struttura piena di civili.

Un’ala è collassata, il soffitto ha intrappolato decine di persone. «Appena abbiamo sentito l’esplosione, siamo scappati. Mia sorella continuava a piangere. Ho visto corpi fatti a pezzi», racconta una bambina sopravvissuta ad al Jazeera. Nella totale mancanza di attrezzature, i soccorritori hanno recuperato dodici corpi a mani nude, tra loro bambini, donne e un giornalista, Hamzah Mortaja.

Era il fratello di Yasser Mortaja, il «fotografo dal drone» che sognava di vedere Gaza dal cielo, ucciso dall’esercito israeliano nel 2018 durante la copertura della Grande Marcia del Ritorno, mesi di proteste pacifiche alla frontiera devastate dagli spari dei cecchini, da 223 uccisi e quasi 10mila feriti, moltissimi disabili a vita.

Nelle stesse ore l’aviazione israeliana ha colpito Rafah, Zeitoun, il campo profughi di Nuseirat e quello di Bureij, uccidendo sei membri della stessa famiglia, la Abu Zaid. Dal 7 ottobre il bilancio accertato è di 40.173 palestinesi uccisi (a cui si aggiungono almeno 10mila dispersi) e quasi 93mila feriti.

È NEL SUD di Gaza, invece, a Khan Younis, che in un’operazione notturna l’esercito ha recuperato i corpi senza vita di sei ostaggi. A Gaza, dei 251 rapiti il 7 ottobre, ne restano oltre cento, di cui 71 si reputa siano ancora vivi. Due degli israeliani recuperati ieri, Chaim Peri e Yoram Mezger, 80enni, vivevano nel kibbutz Nir Oz che ha rilasciato una nota confermandone la morte, «la più grande prova dell’importanza di un accordo che faccia tornare i nostri ragazzi e le nostre ragazze». Ostaggi, scrive il kibbutz, «abbandonati alla morte».

Il riferimento è all’ammissione dell’esercito secondo cui è possibile che siano stati uccisi nei bombardamenti, ma anche alla strategia dell’esecutivo, la guerra a oltranza portata avanti con raid a tappeto, omicidi extragiudiziali in giro per il Medio Oriente e il sabotaggio del dialogo con Hamas.

L’entusiasmo che i negoziatori spacciavano a Doha la scorsa settimana è evaporato: il primo ministro Netanyahu si è detto pronto ad accettare l’accordo ma il movimento islamico palestinese lo accusa di averne modificato i termini. Sul tavolo, dice Hamas, non c’è la proposta di Joe Biden del 31 maggio a cui il gruppo ha aderito.

Lo stesso Netanyahu, riporta il sito Walla, ha detto ieri ai parenti di alcuni ostaggi di non essere sicuro che un accordo ci sarà. Se ci sarà, «sarà quello che preserva gli interessi strategici israeliani». Tra questi c’è la condizione principe, il controllo del corridoio Netzarim nel centro di Gaza (che la spaccherebbe in due) e quello Philadelphi, 14 km per cento metri di buffer zone demilitarizzata tra Gaza ed Egitto, sorta dopo il trattato di pace israelo-egiziano del 1979. Israele lo vuole per sé, Hamas non intende mollarlo: significherebbe l’isolamento totale della Striscia dopo 17 anni di assedio.

Fonti dell’intelligence egiziana hanno fatto sapere a Middle East Eye che Il Cairo avrebbe ceduto a una presenza «da remoto» israeliana, una barriera ad alta tecnologia controllata a distanza con cui ordinare raid aerei nel caso di azioni di contrabbando alla frontiera. Ai palestinesi, aggiungono le fonti, resterebbe il controllo del valico di Rafah. Ma l’assedio non ne sarebbe scalfito.

IL NUOVO ROUND negoziale che si terrà al Cairo giovedì e venerdì sarà un passaggio cruciale, ma di ottimismo se ne percepisce sempre meno. Hamas non andrà fin quando non si tornerà alla proposta Biden votata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu che non prevede controllo israeliano nel corridoio sud e che parla di cessate il fuoco permanente.

Gli stessi negoziatori israeliani (il capo del Mossad Barnea e quello dello Shin Bet Bar) hanno detto a Netanyahu che «un accordo basato sulle sue attuali condizioni non è possibile», scrive Axios, secondo cui le lacune colmate di cui si parla da giorni non fanno riferimento alle distanze tra Israele e Hamas, ma tra Israele e Stati uniti. Ieri il segretario di stato Usa Antony Blinken è volato al Cairo e poi a Doha. Un circolo vizioso da cui uscire è ogni giorno più difficile.

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