Martina Marchiò
Martina Marchiò
Internazionale

«A Gaza non c’è un posto sicuro. Sanità collassata»

Intervista Parla l'infermiera Martina Marchiò: «In queste condizioni la situazione non può che deteriorare. Msf ha dovuto chiudere dei centri perché i combattimenti via terra e i bombardamenti si sono intensificati»
Pubblicato 6 mesi faEdizione del 4 giugno 2024

Dell’impatto devastante che l’offensiva militare israeliana ha sulle strutture sanitarie di Gaza abbiamo parlato con Martina Marchiò, 32 anni, infermiera torinese, volontaria nella Striscia per conto di Medici senza frontiere (Msf), rientrata qualche giorno fa in Italia.

Quanto tempo è rimasta a Gaza e dove ha lavorato?
Circa sei settimane, dalla metà di aprile fino a quattro giorni fa. Ho lavorato a Rafah, Deir al Balah e Khan Yunis. Non solo nelle strutture di Mfs, anche nei centri sanitari palestinesi, inclusi gli ospedali del ministero della salute. Come l’Al Aqsa e il Nasser di Khan Yunis.

Qual è la situazione in questi due ospedali?
L’Al Aqsa nelle ultime settimane ha cominciato a ricevere persone provenienti dalla zona centrale di Gaza che è stata pesantemente bombardata. Come Msf abbiamo dato un aiuto a livello ambulatoriale e nel pronto soccorso e poi anche con una sala operatoria. All’Al Aqsa arrivano soprattutto pazienti politraumatizzati, vittime di esplosioni che spesso vanno d’urgenza in sala operatoria. C’è poi la parte della riabilitazione. Tanti giungono all’ospedale senza braccia e senza gambe. Si sono salvati, ma la loro vita è cambiata per sempre. Tra questi ci sono bambini. Mi ha colpito molto vedere così tanti bambini senza braccia, senza gambe, è stato devastante.

Che tipo di assistenza gli ospedali di Gaza ancora funzionanti possono dare alla popolazione?
Gli ospedali operativi non sono sufficienti per rispondere alle necessità della popolazione. Quelli da campo sono focalizzati sulla chirurgia e gestione dei traumi mentre il Nasser e l’Al Aqsa, oltre all’emergenza, cercano di assistere pazienti con patologie croniche che si sono riacutizzate perché non sono state più curate a causa del collasso del sistema sanitario. Arrivano in condizioni critiche. Parlo di pazienti diabetici o cardiopatici e soprattutto di quelli che hanno bisogno della dialisi e a Gaza sono tanti. Gli ospedali fanno veramente fatica a rispondere a questo bisogno. Poi c’è tutta la parte che riguarda la maternità, ossia la cura delle donne incinte, il parto, il post parto e i neonati. La chiusura (dei valichi) non aiuta, serve il carburante per far girare i generatori autonomi degli ospedali e degli ambulatori, servono i medicinali. In queste condizioni la situazione non può che deteriorare. Msf ha dovuto chiudere non pochi dei suoi centri perché i combattimenti via terra e i bombardamenti si sono intensificati.

Ritiene che ospedali e centri sanitari non siano protetti così come prevedono le leggi internazionali?
Secondo me a Gaza non c’è un posto sicuro e anche i luoghi sanitari come si è visto sono diventati molte volte dei bersagli. Io mi sono sentita sempre abbastanza al sicuro ma non esiste il rischio zero. Ci sono stati momenti in cui gli attacchi e i bombardamenti erano vicini, anche a meno di 400 metri. Mi ha colpito quanto è accaduto all’ospedale Al Awda (nella zona nord della Striscia). Aveva ricevuto l’ordine di evacuazione ma il personale è rimasto con i pazienti gravi che non potevano essere spostati. Quindi è stato circondato con implicazioni molto importanti (per chi era dentro).

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