A Firenze nella sede Pd torna la foto di Berlinguer
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A Firenze nella sede Pd torna la foto di Berlinguer

Ribaltone primarie I dirigenti renziani sconfitti avevano fatto sparire il ritratto dello storico leader Pc
Pubblicato più di un anno faEdizione del 2 marzo 2023

Sono i simboli a far vedere che una stagione si è chiusa e, forse, una nuova è arrivata. Il primo atto del neo segretario toscano del Pd Emiliano Fossi è stato quello di rimettere al suo posto il ritratto di Enrico Berlinguer, sul muro della sede di via Forlanini. Il secondo, far sventolare fuori dalla porta la bandiera della pace.

È successo tutto nella nottata di domenica, una specie di invasione (pacifica) che ha assunto presto le sembianze di una marcia sulle macerie di un avversario incredulo e annichilito: dopo i brindisi di rito per la vittoria al circolo Arci dell’Isolotto, il corteo dei militanti Pd vincitori delle primarie è partito spontaneamente per andare a riconquistare la sede perduta ormai un decennio fa, quando il renzismo imperante sembrava aver cancellato per sempre ogni traccia di sinistra dal Pd. Non solo fiorentino. E non a caso quel ritratto di Berlinguer era stato rimosso per volontà della segretaria uscente Simona Bonafè, renziana della prima ora.

Certo, ci sono gli equilibri locali e tanti nodi da sciogliere su questioni anche molto specifiche, ma l’impatto del successo di Schlein (e di Fossi) nella culla del renzismo assume un rilievo che ha del metaforico: la fortezza del «riformismo», sin qui ritenuta inespugnabile, è crollata in una giornata di code ai gazebo. Il dato di Firenze, poi, è impressionante: Schlein al 70%, quaranta punti secchi sopra Bonaccini, che pure godeva dell’appoggio del sindaco Dario Nardella e di tutta la dirigenza, dal governatore Eugenio Giani in giù.

Un voto che, qui più che altrove, sa di rivincita dopo anni di umiliazioni. E infatti i social ribollono di sfottò contro gli sconfitti (e anche qualcosa in più): si va dai «ciaone» agli «andate a casa», fino ad altre frasi più o meno irripetibili. Sfoghi, si dirà, eccessivo trasporto nell’affrontare il dibattito interno. È per questo che, quasi subito, lo stesso Fossi ha cercato di placare gli animi e ha detto che non ci sono motivi per arrivare a uno strappo. Con un però: «C’è stato un cambio netto, non solo di classe dirigente, ma anche di linea e sensibilità politica» perché «tutte le persone che ci hanno dato la loro fiducia non devono essere deluse un’altra volta. Chi ha risposto venendo a votare ha interpretato la voglia di cambiamento che è emersa e ha visto la possibilità di dare cittadinanza alla propria speranza».

E Nardella, dal canto suo, ci prova a entrare in trattativa. «Niente rese dei conti – ha detto -, io non chiedo niente, spero che collaboreremo. Sui temi toscani non sono particolarmente preoccupato. Non partiamo da una pagina bianca, c’è un pregresso che ci ha visto lavorare insieme e con Fossi c’è un rapporto consolidato». Il tentativo di mediazione dovrà avvenire anche altrove: la vittoria di Schlein alle primarie ha ribaltato dei rapporti di forza interni al Pd che sembravano consolidati, con l’ala liberaldemocratica al comando e la sinistra in minoranza e in continue ambasce. Il voto popolare dei gazebo dice però che la maggioranza degli elettori democrat vuole chiudere con una stagione durata un decennio.

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