Internazionale

A Davos il clima si prende la scena. L’accusa di Greta

A Davos il clima si prende la scena. L’accusa di GretaGreta Thunberg ieri durante una conferenza stampa a Davos – Ap

Cambiamo aria Al summit dei ricchi irrompe la protesta dell’attivista svedese e di altre militanti ecologiste

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 20 gennaio 2023

La presidente della Bce, Christine Lagarde, ribadisce che l’Eurotower di Francoforte non mollerà i cordoni dei tassi finché l’inflazione non tornerà al 2%; il premier ucraino Volodymyr Zelensky si ricollega al summit per la seconda volta per ricordare agli alleati che l’«unico obiettivo» è la riconquista totale di tutte le regioni perdute, a partire dalla Crimea; e il primo ministro olandese, Mark Rutte, fa sapere a Italia e Francia che per contrastare l’“Inflation Reduction Act” che mette fuori mercato il made in Europe, appena varato dall’amministrazione Biden, basta e avanza «il sacco di soldi degli attuali finanziamenti Ue».
I programmi vari degli autorevoli ospiti, il terzo giorno del Forum di Davos, stridono non poco con l’emergenza climatica che i potenti della terra giurano di aver messo al primo posto dell’agenda politica.

Almeno a sentire le dichiarazioni ufficiali della «gente che dovremmo smettere di ascoltare», come l’ha battezzata ieri Greta Thunberg, vera protagonista del “World Economic Forum 2023” insieme alle ambientaliste Vanessa Nakate, Helena Gualinga e Luisa Neubauer, leader tedesca del Fridays For Future.

Per niente sedata dal doppio arresto della Polizei al presidio contro l’espansione della miniera di Lützerath, l’attivista svedese ha demolito così il palcoscenico del Wef nel corso dell’atteso incontro con il direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’Energia, Fatih Birol: «La gente che dovremmo ascoltare non si trova qui. A Davos c’è la gente che alimenta la distruzione del pianeta, quella che sta al cuore del problema della crisi climatica, che continua a investire sulle fonti fossili, e che in qualche modo riesce ancora ad apparire come la gente su cui contare per risolvere il problema».

Dopo di lei l’attivista ecuadoregna Helena Gualinga, portavoce dei diritti degli indio dell’Amazzonia ha inchiodato le buone intenzioni di Birol alla richiesta di promesse scritte nero su bianco su carta legale.

«L’Agenzia internazionale dell’Energia, l’Ipcc e il segretario generale Onu hanno caldeggiato i decision-maker del mondo a dire No ai combustibili fossili. Bene, è esattamente ciò che abbiamo chiesto inutilmente in tutti questi anni. Adesso, forse, possiamo smetterla con i permessi all’esplorazione delle fonti energetiche devastanti?» domanda ironicamente Gualinga, spinta dall’appello-ultimatum in favore dell’uscita immediata da gas, carbone e petrolio che ieri sera sul web aveva superato 921.000 firme.
«Fermate subito qualunque nuova trivellazione. Smettete di bloccare la transizione all’energia pulita che è necessaria al pianeta. Per anni avete imbrogliato la scienza climatica sui veri rischi dell’utilizzo dei combustibili fossili ingannando il dibattito politico con la disinformazione mirata a sollevare dubbi sull’urgenza della svolta ambientale. Dovete finirla con atti in aperta violazione del diritto umano alla salute. Se non farete nulla, vi terremo legalmente responsabili» è il testo molto poco diplomatico dell’ambasciata consegnata ieri al Wef di Davos dalle quattro leader del movimento ambientalista.

Formalmente, sono state loro a chiedere il faccia a faccia con Birol, come conferma lo stesso direttore ammettendo di «avere accettato volentieri l’invito delle giovani donne» e anche di essere pronto a collaborare. «Purtroppo, loro («They») non hanno questa urgenza. La loro priorità è invece l’ingordigia dei profitti a breve termine sulla testa delle persone e a danno del pianeta. Stiamo ascoltando loro piuttosto che le persone effettivamente colpite dalla crisi climatica, che vivono sulla prima linea.

Basterebbe ciò a definire l’assurdità della situazione. Invece siamo bombardati dalle dichiarazioni su presunte soluzioni da parte di chi alimenta la crisi» tuona ancora Greta consapevole di dover ripetere il concetto all’infinito. Perché, come spiega bene Rutte, «il guaio è che dobbiamo fare più cose allo stesso tempo: ridurre il debito pubblico ancora troppo alto in Italia, Francia e altri grandi Paesi, che appesantisce la nostra crescita, e poi secondo servono le riforme strutturali, in particolare sulle pensioni. Roma e Parigi spendono dal 10 al 15% del Pil togliendo risorse per la lotta all’inflazione». Altro che ambiente, è il “clima” di Davos.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento