Una vacanza terapeutica di svago e recupero a Cipro, per godere di mare e spiagge bellissime. Quest’anno ai vari tour operator si aggiunge Belev Echad, una ong che offre «sostegno e prospettive ai soldati dell’esercito israeliano feriti» (così si presenta sul suo sito). La settimana scorsa, l’organizzazione ha offerto una vacanza gratis a Cipro a oltre 200 soldati feriti nelle operazioni in corso contro i palestinesi, sbandierando entusiasta l’evento sui suoi canali social.

VOLTI SORRIDENTI, foto da vacanzieri e mille ringraziamenti agli «eroi» non sono piaciuti a tutti: i gruppi ciprioti a sostegno della Palestina sono rimasti basiti e sui social media, i reel con brevi interviste ai soldati hanno sollevato diversi quesiti: quei militari sono stati coinvolti nell’uccisione di bambini a Gaza e in altre violazioni dei diritti umani?

E il governo cipriota, dopo che il presidente Christodoulides ha escluso categoricamente un coinvolgimento del suo paese nelle operazioni militari in corso a poco più di 100 km dalle sue coste, cosa dice? Si era parlato del caso di Secret Forest, un resort di lusso di proprietà di un cittadino israeliano nell’area di Paphos che a dicembre aveva offerto un soggiorno gratuito ad alcuni sopravvissuti al 7 ottobre. Il centro benessere ora è destinazione di relax per i genitori dei soldati delle Israelian Defence Forces (Idf) morti nella guerra a Gaza. Il governo cipriota non mette bocca sulla questione ma con il governo di Nethanyau fa affari da tempo. E comunque la circostanza stride molto con la storica vicinanza di Cipro alla causa palestinese.

Questa prossimità tra ciprioti e palestinesi è stata cementata dal destino comune dopo la fine del giogo britannico, con i loro territori occupati da forze straniere. Poi, con l’ingresso nell’Unione europea (del 63% dell’isola), la crisi finanziaria del 2012 e la scoperta dei giacimenti di gas nell’est del Mediterraneo, Nicosia e Tel Aviv si sono avvicinate come mai prima d’ora.

E SE IL GOVERNO GRECO-CIPRIOTA non la smette di ricordare i disastri di 50 anni di occupazione turca, quando si tratta di altri occupanti, come nel caso di Israele, da qualche tempo è la diplomazia a prevalere sulla logica.
Cipro e Israele sono vicine ora e non solo in senso figurato: i voli low-cost che collegano in circa 40 minuti la zona riconosciuta dell’isola e Israele, prima del 7 ottobre erano diventati praticamente delle navette. Popolare per la vicinanza e le belle spiagge ma non solo: gli israeliani, in un (mezzo) paese di cultura occidentale, come la zona greco-cipriota si trovano a loro agio.

Quasi nullo il rischio di incidenti a sfondo antisemita, un costo della vita relativamente basso e Larnaca, dove vive gran parte della diaspora, è storicamente un luogo di grande importanza per la comunità ebraica dell’isola. Quando Cipro era ancora una colonia fu il principale centro di internamento per ebrei che eccedevano le quote di immigrazione verso la Palestina, ai tempi del Mandato britannico. Poi, dopo la nascita di Israele, l’unica area non a maggioranza musulmana della regione, dove i campi di transito furono organizzati senza tensioni con i locali.

«LA SECONDA ISRAELE? Gli israeliani si riversano a Cipro per comprare qualsiasi cosa vedano» titolava il quotidiano progressita israeliano Haaretz poco prima del 7 ottobre. E oggi, a nove mesi dallo scoppio della guerra a Gaza, pare che il trend sia diventato strutturale e inarrestabile. E non solo per il mercato immobiliare: anche la ghiotta torta del mercato finanziario delle valute (il Forex) è stata una calamita per gli investimenti israeliani. Cipro è il cortile economico e sicuro e il paradiso fiscale dietro casa, a tal punto da aver mosso gli investigatori del fisco di Tel Aviv a caccia di israeliani che hanno attività sull’isola ma non hanno mai dichiarato uno shekel in patria. I due paesi non hanno accordi fiscali e Nicosia, ma soprattutto Limassol, il suo hub finanziario, che è un trampolino per chiunque, in Medio Oriente, punti al mercato Ue, sarebbe diventato l’ingresso nella finanza globale anche per gli israeliani.

L’ARRIVO DI CAPITALI DA ISRAELE non si ferma sulla Green Line: politicamente turchi e turco-ciprioti sono solidali con la causa palestinese, Hamas a nord non è considerata un’organizzazione terroristica ma questo non ha scoraggiato gli investitori: dopo il 7 ottobre, ben 35mila israeliani o europei di origine ebraica avrebbero acquistato in totale oltre 100mila metri quadrati di terra nella Repubblica turco cipriota. E dopo il 7 ottobre, soprattutto nella zona costiera di Iskele, sarebbero state aperte da cittadini israeliani oltre duemila nuove aziende. Difficile ottenere riscontri ufficiali a Nord ma in tanti, a sud, malignano sugli occupanti che vendono terre ad altri occupanti. Intanto, il parlamento della Repubblica secessionista ha varato in fretta e furia una norma per limitare la vendita di proprietà a investitori stranieri.