A chi è utile il voto utile? Alla destra di Letta
È almeno dalla campagna elettorale successiva alla prima legislatura dell’Ulivo che riceviamo appelli al voto utile.
Tra il 1996 e il 2001, l’alleanza di centrosinistra aveva aperto alla parificazione tra fascismo e antifascismo, introdotto la precarietà nei contratti di lavoro, ridotto la progressività fiscale, approvato una legislazione repressiva dell’immigrazione, trasformato il rapporto Stato-enti territoriali in senso federalista, realizzato un vasto programma di privatizzazioni, mosso guerra a uno Stato sovrano senza l’autorizzazione dell’Onu, gerarchizzato le scuole con l’autonomia scolastica, revisionato la Costituzione con un risicato voto di maggioranza.
Al di là delle effettive intenzioni dei suoi protagonisti, e al netto dei condizionamenti esterni, di fatto il governo dell’Ulivo aveva predisposto il terreno per una svolta a destra della politica italiana. Ciononostante, la comprensibile decisione di Rifondazione comunista di presentarsi da sola alle elezioni del 2001 fu vissuta come un tradimento dall’establishment politico-culturale di centrosinistra, che bersagliò il potenziale elettorato di Rifondazione con l’appello al voto utile contro il pericolo del ritorno di Berlusconi.
Da allora lo schema ha continuato a ripetersi, provocando ogni volta l’ulteriore slittamento a destra del quadro politico generale. Il culmine della stagione renziana è stato da ultimo superato con l’agenda Draghi, le cui politiche anti-sociali, anti-ambientali, anti-parlamentari e pro-guerra sembrano l’esito della negazione, a miope beneficio dei dominanti, delle emergenze che minacciano il nostro futuro: le crescenti disuguaglianze, la devastazione ecologica, la crisi democratica, l’olocausto nucleare.
Peraltro, le politiche di destra realizzate dal (sedicente) centrosinistra sempre hanno preparato il terreno alla successiva vittoria politica della destra. Meglio: di una destra ogni volta un po’ più a destra di quella precedente. A Berlusconi è succeduto Salvini; a Salvini Giorgia Meloni. A chi toccherà tra cinque anni?
Alle elezioni del 2018, di fronte alla novità del M 5Stelle, che, pur tra insanabili ambiguità, contraddizioni ed errori, avrebbe potuto contribuire a spezzare questo circolo vizioso, da molti venne l’invito a rivalutare Berlusconi, elevato a statista nientemeno che da Eugenio Scalfari.
Oggi, è il turno di Gelmini, Carfagna e Brunetta, la cui uscita da Forza Italia li rende votabili persino agli occhi di un commentatore intransigente come Paolo Flores d’Arcais. La stessa Lega è oggetto di rivalutazione attraverso la forzata contrapposizione tra Salvini e i vari Giorgetti, Zaia, Fedriga. E c’è persino chi opera distinguo in Fratelli d’Italia, individuandone il volto presentabile in Crosetto.
È evidente – come ha ricordato Antonio Floridia – che siamo al cospetto di un pericolo democratico. Ed è evidente che la legge elettorale vigente lo esaspera. Proprio per questo è venuto il momento di prendere atto che continuando ad andare a destra, come si propone di fare Letta facendo sua l’agenda Draghi, si finisce solo per rafforzare la destra.
Anziché consegnarsi a Calenda, a Renzi, agli ex berlusconiani, bisognerebbe provare a recuperare almeno parte dell’astensione dovuta al disagio sociale. Per farlo, occorre assumere come problemi prioritari e ineludibili il fatto che un quarto degli italiani vive in condizioni di povertà, che un terzo dei lavoratori guadagna meno di mille euro al mese, che un quinto lavora in condizioni di precarietà, che un terzo dei pensionati è in miseria; e che l’emergenza ambientale va affrontata senza tentennamenti.
Assumano il Partito democratico e le altre forze centriste questi temi al centro del loro programma e si facciano promotrici di un’alleanza rivolta all’attuazione della Costituzione anche nel campo del fisco, della sanità e dell’istruzione (non si tratta di fare la rivoluzione, ma di rifarsi a Fanfani, Moro, Scoca, Dossetti, La Pira): allora sì che un voto a loro favore potrà essere utile.
Altrimenti, sarà stessa storia di sempre: la destra vincerà comunque le elezioni, potendo inoltre beneficiare dell’ennesimo spostamento a destra del quadro politico.
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