Secondo uno studio dell’università di Pechino, il 64% della popolazione cinese avrebbe contratto il Covid finora. In termini assoluti, si tratta di 900 milioni di persone. La stima è contenuta in un report a cui ha avuto accesso il network pubblico britannico Bbc. Secondo queste informazioni, in alcune province la percentuale della popolazione contagiata è elevatissima: il 91% nel Gansu, l’84% nello Yunnan e l’80% nel Qinghai.

Zeng Guang, ex-epidemiologo capo del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie di Pechino e uno degli esperti del comitato tecnico che ha assistito Xi Jinping durante la pandemia, sostiene che il picco dei contagi sia già stato superato in molte zone urbane del Paese, ma che l’ondata di Covid possa durare due o tre mesi. «Finora ci siamo concentrati sulle grandi città, ora è il momento di guardare alle zone rurali» ha detto durante un seminario che si è svolto qualche giorno fa, secondo il resoconto del sito cinese Caixin. Zeng prevede che nelle prossime settimane il virus si sposti nelle campagne a causa dei festeggiamenti per il capodanno lunare cinese che iniziano il 21 gennaio. Queste aree, ha avvertito l’epidemiologo, dispongono di meno risorse sanitarie per far fronte all’epidemia.

I dati e queste considerazioni non devono essere interpretate come un cambiamento di strategia, volto a maggiore trasparenza, nella comunicazione ufficiale cinese. Zeng è uno scienziato molto rispettato in patria ma non va sempre d’accordo con i vertici. In passato, l’epidemiologo aveva auspicato la fine della strategia «Zero Covid» adottata dal governo, che invece secondo il presidente Xi Jinping dimostrava con i risultati la superiorità dell’approccio cinese. Già un anno fa Zeng aveva elogiato la strategia occidentale e invitato la Cina a «presentare la sua strategia per la convivenza con il virus», una critica piuttosto rara tra gli esperti più in vista.

NEMMENO I DATI diffusi dal report di Pechino, secondo cui la maggior parte della popolazione ha già contratto il coronavirus, rappresentano la nuova posizione ufficiale del governo. Tra la popolazione effettivamente contagiata e il numero di casi positivi certificati dai tamponi permane sempre una notevole differenza anche in Paesi più trasparenti della Cina, perché una percentuale molto elevata dei contagi sfugge inevitabilmente alle statistiche. La stima della dimensione vera del contagio da parte degli epidemiologi viene dunque effettuata sulla base di stime indirette con un margine di incertezza molto elevato. Perciò, è sempre rimasto un esercizio prettamente accademico e con scarso impatto politico.

INFATTI, LA STIMA di 900 milioni di contagi non impedisce a Pechino di dichiarare cifre ufficiali inverosimilmente basse rispetto alle testimonianze che arrivano dal Paese. Stando alle cifre comunicate all’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’ultima settimana la Cina ha registrato 204.000 casi di Covid, un decimo dell’Italia se rapportato alla popolazione. Quanto ai decessi, in Cina se ne sono contati 722 contro i 576 registrati in Italia ieri dal ministero della Salute. «Situazione sotto controllo», dice il direttore della prevenzione Gianni Rezza. I numeri cinesi, invece, sembrano incompatibili con le stime dell’università di Pechino.

Va detto che nei giorni scorsi le statistiche sono state esagerate anche nel senso opposto da parte dei Paesi occidentali e alcuni allarmi riferiti alla Cina possono ora essere ridimensionati. Ad esempio, per i primi voli da Pechino su cui sono stati effettuati tamponi il governo parlò di una percentuale di positivi che superava il 50%. In realtà, come dimostra uno studio pubblicato ieri sulla rivista scientifica Eurosurveillance dai ricercatori dell’ospedale di Varese e dello «Spallanzani» di Roma, nelle prime due giornate di monitoraggio a Malpensa e Fiumicino i passeggeri positivi erano il 22%, nessuno dei quali con varianti virali anomale.

Non c’era ad esempio la variante Xbb.1.5 e più nota come «Kraken», per il momento diffusa soprattutto negli Usa. Ieri il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) ha pubblicato una nuova valutazione sul rischio che essa prenda piede anche da noi. «Potrebbe diventare dominante in Europa in 1-2 mesi secondo i nostri modelli matematici» scrivono i tecnici del Centro. Il rischio sanitario è ritenuto «basso» per la popolazione generale e «moderato» per le fasce anziane e immunocompromesse. L’Ecdc ha ripetuto l’invito a un uso «appropriato» delle mascherine, alla ventilazione degli ambienti chiusi e al ricorso al telelavoro.