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5 dicembre, quella tentazione del voto subito che allarma i dem

5 dicembre, quella tentazione del voto subito che allarma i dem

Se vince il No si dimette. Se vince il Sì pure. Questa è la tentazione che negli ultimi giorni Renzi ha condiviso con il suo stato maggiore. Ha seminato il […]

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 2 dicembre 2016

Se vince il No si dimette. Se vince il Sì pure. Questa è la tentazione che negli ultimi giorni Renzi ha condiviso con il suo stato maggiore. Ha seminato il panico nei gruppi parlamentari e molti dubbi nel partito. Il senatore Marcucci, di solito ventriloquo di Renzi a palazzo Madama, garantisce che l’idea c’è ma «minoritaria». Guerini, il vice Renzi, esclude tassativamente. I parlamentari dem, per ogni evenienza, si preparano a fare muro e insistono sull’obbligo di portare la legislatura a scadenza naturale, fino al febbraio 2018.

Ufficialmente le dimissioni di Renzi anche in caso di vittoria servirebbero a certificare la fine della legislatura senza che questo comporti elezioni immediate. Il premier uscente otterrebbe un nuovo incarico, con il mandato di ritoccare in tre mesi l’Italicum e poi votare. Le modifiche all’attuale legge elettorale, in quel caso, sarebbero minime. E’ però lecito sospettare che l’obiettivo sia arrivare alle elezioni subito, senza neppure modificare l’Italicum.

In entrambi i casi Renzi sarebbe mosso dalla medesima tentazione: quella di spostare sul Pd il grosso dei voti che prenderà il Sì. Se dopo il referendum si votasse a breve, buona parte dei consensi per il Sì si trasferirebbero quasi automaticamente a favore del partito di Renzi. Diventerebbe plausibile persino il raggiungimento del 40% al primo turno, evitando quel ballottaggio che la convergenza di tutti i rivali sul candidato alternativo rende una trappola mortale. Questo tipo di incantesimi, però, dura poco. Per capitalizzare i voti a favore del Sì bisogna che le elezioni politiche si tengano entro 100 giorni o poco più.

Sulla carta entrambe le strade, le elezioni subito dopo il varo della legge di bilancio oppure due mesi dopo, con Italicum modificato, arriverebbero a destinazione. Imbarcarsi in una revisione della legge elettorale con un Parlamento che non ha nessuna voglia di tornare a casa anzitempo potrebbe però rivelarsi pericoloso. Basterebbe far diventare quei tre mesi quattro o cinque, senza contare la campagna elettorale, e il momento magico sarebbe passato. Forzare con l’Italicum, puntando anche sulla norma transitoria contenuta nella riforma che impone alla Corte costituzionale di pronunciarsi entro un mese, sarebbe più sicuro. Se la Consulta dovesse chiedere modifiche, basterebbe applicarle in automatico per non perdere tempo.

Anche se sconfitto ma forte di una percentuale superiore al 40% Renzi avrebbe ogni convenienza nel cercare comunque di arrivare al voto subito. La vittoria del No renderebbe però la missione quasi impossibile: bisognerebbe varare una legge per il Senato e la sconfitta della riforma suonerebbe come bocciatura implicita anche dell’Italicum. Il segretario sarebbe molto più debole nel Pd e non potrebbe imporre la sua volontà senza incontrare grossi ostacoli.

Si tratta ovviamente di calcoli a tavolino. La realtà, comunque vada a finire domenica, presenterà un quadro diverso da quello immaginato nei piani di battaglia. Ma di una cosa si può essere certi: se vincerà il No seguirà un terremoto, se vincerà il Sì pure.

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