I media siriani accusano Israele di aver lanciato nella notte di venerdì il più devastante e mortale dei suoi bombardamenti aerei contro la Siria negli ultimi tre anni, in contemporanea all’attacco con droni, nella stessa zona, compiuto dal gruppo qaedista Ha’ayat Tahrir a-Shams (Hts). Qualcuno non ha mancato di ricordare i contatti sul Golan avvenuti durante la guerra in Siria tra militari israeliani e miliziani di Hts, a quel tempo conosciuto come Fronte al Nusra. Con ogni probabilità si è trattato di un caso. Di sicuro c’è che gli attacchi israeliani non erano mai stati così letali. Gli uccisi sono stati 42, tra cui sei combattenti del movimento sciita libanese Hezbollah alleato di Damasco. Decine i feriti. Per alcune fonti i morti siriani sarebbero tutti soldati, per l’agenzia Sana tra le vittime ci sono anche civili.

I cacciabombardieri israeliani hanno preso di mira quello che è stato descritto dai media come un deposito missilistico appartenente a Hezbollah nei pressi di un centro di addestramento delle forze siriane a Jabrin, vicino all’aeroporto internazionale di Aleppo. I raid si sono concentrati anche sulle installazioni della difesa aerea ad Al Saferah, con esplosioni udite nell’area di Kafr Joum, nella parte occidentale di Aleppo. Secondo la Sana gli aerei nemici hanno sganciato i loro missili all’1:45 dalla direzione di Athriya. Il giorno prima due civili erano stati uccisi da un altro raid israeliano nella zona della moschea sciita di Sayida Zeinab, alla periferia di Damasco, dove Hezbollah e la Guardia rivoluzionaria iraniana hanno alcune delle loro postazioni. Bombardamenti seguiti all’ultima escalation tra Israele ed Hezbollah in cui sono morti almeno 17 libanesi e un druso israeliano a Kiryat Shmona. L’aviazione israeliana ieri ha assassinato Ali Abdel Hassan Naim, un ufficiale del movimento sciita, a Zuria, vicino alla città di Tiro.

Israele, come fa quasi sempre in questi casi, non ha rivendicato ufficialmente gli attacchi aerei ma nessuno ha dubbi sulla sua responsabilità. Appare evidente l’aumento della potenza distruttiva dei raid aerei, quasi a voler indicare l’intenzione di spingere il conflitto con Hezbollah e quello a distanza con l’Iran più vicino al baratro di una guerra. Un sensibile aumento della violenza dei già pesanti bombardamenti si è registrata negli ultimi due giorni anche a Gaza, con decine di vittime civili palestinesi, a conferma della volontà di Israele di attaccare anche la città di Rafah.

Lo scontro a bassa intensità lungo il confine tra Libano e Israele, cominciato in seguito all’offensiva israeliana contro Gaza, ha lasciato il posto a una escalation, ancora controllata, di attacchi e rappresaglie di crescente violenza. Israele ormai prende di mira obiettivi, veri e presunti, di Hezbollah spesso a 20-30 chilometri dal confine e nella distante Valle della Bekaa. In quasi sei mesi ha ucciso almeno 347 libanesi, tra cui 68 civili. I razzi di Hezbollah invece hanno ucciso dieci soldati e otto civili israeliani. Ieri il ministro della Difesa Gallant ha confermato l’intenzione di elevare il livello dello scontro, in Libano come in Siria. «Stiamo passando dal respingere gli Hezbollah a perseguirli attivamente. Ovunque si nascondano, li raggiungeremo, compresi i luoghi più distanti come Damasco e oltre», ha detto dopo essere rientrato dagli Stati uniti dove ha avuto colloqui che hanno riguardato Gaza e il «fronte settentrionale».

Washington non vuole una guerra anche in Libano e assieme ad altri paesi sta mediando per evitare una seconda guerra. Israele però ha già dimostrato di ascoltare davvero poco i suoi principali alleati, a cominciare dagli americani. «Sono due i punti della strategia del gabinetto di guerra guidato da Netanyahu» spiega al manifesto l’analista Mouin Rabbani «il primo è rendere sempre più distruttivi gli attacchi aerei per ottenere con la forza e non con la trattativa l’arretramento di Hezbollah a grande distanza dal confine, una soluzione che il movimento sciita sino ad oggi ha respinto in tutte le proposte dei mediatori». Il secondo, prosegue l’analista «è spingere lo scontro in Libano fino al limite estremo sapendo che Hezbollah per ragioni interne non può andare al conflitto totale. In questo modo Israele crede di poter piegare il movimento sciita e il suo sponsor, l’Iran, disinteressato a sua volta a una escalation». Sullo sfondo c’è Damasco che, pur subendo pesanti attacchi, non reagisce, perché non è in grado di entrare in guerra con Israele. «Non reagisce direttamente» precisa Rabbani «preferisce lasciarlo fare, anche dal territorio siriano, ai combattenti di Hezbollah».