4 giorni in marcia per gli ostaggi, dal kibbutz Re’im a Gerusalemme
Israele United to Free the Hostages: «Riportare a casa i vivi e i morti»
Israele United to Free the Hostages: «Riportare a casa i vivi e i morti»
«Nessuno dev’essere lasciato indietro. Lo stato d’Israele non può venire pienamente ripristinato senza assicurarsi il rilascio di tutti gli ostaggi: quelli ancora in vita e quelli uccisi». Lo si legge nel comunicato con cui il Forum delle famiglie degli ostaggi ha lanciato la marcia partita ieri dal kibbutz Re’im – lungo il confine con Gaza e nelle cui vicinanze si teneva il 7 ottobre il Supernova festival – che sabato raggiungerà Gerusalemme. Nel campo circondato di alberi di eucaliptus, “ripulito” dalle macerie del massacro di 360 persone, si sono riuniti i partecipanti per una cerimonia iniziale prima della partenza. «Non ho potuto partecipare alla marcia precedente», ha affermato l’ex prigioniera Sharon Aloni Cunio, liberata a fine novembre nello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, mentre suo marito David è ancora detenuto a Gaza. E ha esortato quante più persone possibile a unirsi a loro nella lunga camminata di quattro giorni.
Nel pomeriggio di ieri è arrivata a Sderot, dove un’altra cerimonia si è tenuta davanti alla stazione di polizia distrutta il 7 ottobre e dove sono stati uccisi 35 agenti. Il discorso di Talik Guili – madre di Ran Guili, il cui corpo si trova a Gaza -, era rivolto al primo ministro Netanyahu: «Appelliamoci a lui affinché le donne, gli uomini, i soldati e coloro che non sono più in vita vengano riportati a casa».
Le sue parole si scontrano con il trattamento riservato sabato scorso dal governo israeliano a coloro che manifestavano in tutto il paese, familiari degli ostaggi compresi, presi di mira dai cannoni ad acqua della polizia per la prima volta dalle manifestazioni contro la riforma giudiziaria. «Il numero dei manifestanti non era maggiore rispetto alle scorse settimane. È stata la polizia, attivando il cannone ad acqua, a trasformarlo in un evento significativo che ha attirato più persone», ha detto a Haaretz uno degli organizzatori della protesta. Da Haifa, Yaakov Godu (padre di Tom, ostaggio a Gaza) aveva invece dichiarato che «Netanyahu e i suoi emissari messianici squilibrati stanno trasformando le famiglie degli ostaggi in nemici». Dopo gli scontri, in tanti sono tornati a appellarsi a nuove elezioni al più presto.
La marcia «United to Free the Hostages» passerà oggi per Beit Guvrin e Beit Shemesh, mentre venerdì ci sarà una cerimonia al Sha’ar Hagai National Heritage Site e la notte prima di sabato, e dell’arrivo a Gerusalemme, il gruppo di fermerà al Kibbutz Tzora.
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