A dicembre il ministero dell’Ambiente ha pubblicato la mappa aggiornata delle aree idonee per ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Nell’impianto dovranno essere stoccati 78 mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e 17 mila ad alta intensità. Circa 50 mila metri cubi derivano dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, mentre altri 28 mila metri cubi arrivano dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria.

Su 51 aree individuate come «idonee», ben 21 si trovano nella Tuscia, un’area dell’alto Lazio che arriva fino al confine con la Toscana. Due di queste sono considerate particolarmente idonee, con un punteggio più elevato delle altre. Per questo i comuni di Corchiano, Gallese, Soriano nel Cimino, Vasanello e Vignanello hanno promosso per domenica prossima una marcia per dire no al sito di stoccaggio delle scorie. Finora hanno aderito 60 comuni della provincia di Viterbo e del litorale romano e grossetano, e 170 tra associazioni e comitati locali.
Il Biodistretto della via Amerina, tra i promotori della manifestazione, ha elencato in un documento dieci motivi per i quali si oppongono al sito unico delle scorie nella Tuscia: «Il grande rischio di contaminazione di un territorio che già incorpora un alto grado di radioattività naturale ed è primo per incidenza dei tumori tra tutte le provincie del centro Italia.

L’origine vulcanica, la ricchezza delle falde di superficie, la problematica sismica e la vicinanza ai centri abitati moltiplicano i rischi di contaminazione radioattiva provocati dal sito di scorie nucleari. Il deposito compromette la vocazione e il dinamismo sociale del viterbese, colpisce il suo patrimonio naturale ed economico, e sarebbe la condanna della Tuscia all’assistenzialismo e alla regressione demografica e a un futuro senza popolo».

Della costruzione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, così come dello smantellamento delle centrali nucleari, si discute da trent’anni. Nel 2003 l’allora governo guidato da Silvio Berlusconi decise di farlo a Terzo Cavone, nel territorio di Scanzano Jonico, in Basilicata, ma fu costretto a ritirare la decisione dalle proteste dei cittadini, che per diversi giorni bloccarono le strade.

Da allora nessun governo ci ha più provato. Nel 2022 il governo Draghi ha commissariato la Sogin per il suo inattivismo e il 4 agosto del 2023 il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha nominato un nuovo amministratore delegato, l’ex direttore del personale Gian Paolo Artizzu, e un nuovo presidente, l’ex vicedirettore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) Carlo Massagli.

Nei primi mesi di gestione, Artizzu è stato molto attivo: ha cambiato i capistruttura, attirandosi due interrogazioni parlamentari del Pd con una richiesta di intervento della Corte dei conti, ha annunciato l’avvio dello smantellamento della centrale nucleare del Garigliano, in realtà già programmato da cinque anni, e ha aggiornato la mappa delle aree idonee per il sito unico, tutte tra Basilicata, Lazio, Puglia Piemonte, Sardegna e Sicilia. Nel Lazio i 21 siti si trovano tutti in provincia di Viterbo: i comuni di Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Piansano, Arlena di Castro, Tessennano.

In realtà, il governo e la Sogin puntano sulle autocandidature dei comuni, una possibilità che è stata inserita nel cosiddetto decreto Energia. Finora si è fatto avanti solo il sindaco di Trino Vercellese, Daniele Pane, di Fratelli d’Italia. Nel comune piemontese c’è una vecchia centrale nucleare molto vicina al fiume Po, che non è stata inserita nella mappa per il rischio di esondazioni.
In ogni caso, per il deposito nazionale bisognerà ancora aspettare. Nella migliore delle ipotesi, ci vorrà almeno un anno per chiudere la pratica e ci vorranno come minimo quattro anni per costruire i depositi nucleari.