10 anni in Italia  per l’Rdc, la Corte d’appello rinvia alla Consulta
Economia

10 anni in Italia per l’Rdc, la Corte d’appello rinvia alla Consulta

Milano È di ieri l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano che, dopo l’azione di un gruppo di cittadini di origine straniera, ha ritenuto «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale» delle norme «nella parte in cui prevedono il requisito di residenza decennale sul territorio nazionale per l’accesso alla prestazione»
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 1 giugno 2022

Quando nel 2019 venne introdotto il reddito di cittadinanza dal governo gialloverde il partner leghista della coalizione aveva sbandierato il requisito di residenza decennale in Italia per l’accesso al nuovo strumento sociale come una sua grande vittoria. Un punto che permise a Salvini di stoppare gli attacchi di FdI e Fi ma che fu, da subito, oggetto di critiche e di ricorsi per la sua possibile incostituzionalità.

È di ieri l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano che, dopo l’azione di un gruppo di cittadini di origine straniera con il sostegno dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e della Comunità di Sant’Egidio di Milano, ha ritenuto «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale» delle norme «nella parte in cui prevedono il requisito di residenza decennale sul territorio nazionale per l’accesso alla prestazione».

Pur riconoscendo che la misura ha una natura «non meramente assistenziale» (quindi non facente parte del «nucleo essenziale di diritti») la Corte ha ritenuto che il legislatore non goda di una totale discrezionalità nello stabilire i criteri selettivi dei beneficiari, essendo necessario rispettare il principio di «ragionevole correlabilità» come la Corte costituzionale ha affermato in sentenze analoghe.

La Corte d’Appello ha inoltre richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia di radicamento territoriale, ribadendo come la Consulta abbia costantemente ritenuto irragionevole richiedere la residenza protratta per un tempo sproporzionato. Il caso in esame riguarda «cittadini Ue che hanno il diritto al soggiorno permanente» ovvero che risiedono in Italia da almeno 3 mesi e che hanno dimostrato di poter provvedere al proprio mantenimento.

Secondo la Corte d’Appello il requisito è una discriminazione «indiretta» ed è «sproporzionato». Come «extrema ratio» si suggerisce alla Corte costituzionale di ridurre la «residenza pregressa» a 5 anni. Una nuova breccia contro norme discriminatorie sulla quale si dovrà esprimere la Consulta. Secondo l’avvocato Alberto Guariso dell’Asgi «se il requisito cadrà, cadrà per tutti, anche per i cittadini extra Ue».

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