«Tanto in questi anni l’unica cosa che ho imparato è stata questa: se st’urgenza non la capisci, si vede che non puoi capì. Amen». Potrebbe sembrare perentorio, ma Zerocalcare non ha tutti i torti: cosa spinge il fumettista, ormai affermato, ad imbarcarsi per una remota e poco conosciuta area dell’Iraq, potrebbero non capirlo in molti. Tanto più che, rispetto al successo di sette anni fa di Kobane Calling, in cui Zerocalcare raccontava il suo viaggio in Rojava nel pieno dello scontro con l’Isis – nel contesto quindi di un’importante attenzione mediatica – le vicende della città di Shengal e del popolo ezida non sono certo la priorità dei notiziari. Ragione che rende questo fumetto, pubblicato come di consueto da Bao publishing (23 euro), un lavoro ancora più necessario.

No Sleep Till Shengal, questo il titolo, ancora una volta ispirato al mondo della musica – alla canzone dei Beastie Boys No Sleep Till Brooklyn, o all’album dei Motörhead No Sleep ‘til Hammersmith, a seconda dei gusti; ma in entrambi i casi il contesto è quello di un tour, e della deprivazione di riposo che inevitabilmente porta con sé. Lo stesso vale per Zerocalcare, salvo poi scoprire che il fumettista ha veramente difficoltà a dormire lungo la strada che porta a Shengal a causa di un compagno di stanza che russa come «il rumore di 49 facoceri venuti dall’inferno che spolpano una famiglia di scimmie». È la capacità di distillare l’(auto)ironia, che sfocia in sarcasmo, anche dalle situazioni più difficili, come quella dei vari checkpoint in cui la compagnia viene fermata più volte, con scontri tra le diverse autorità che si contendono quel territorio e il rischio concreto di venire coinvolti in manovre più grandi dall’esito incerto.

Non c’è dubbio infatti che in quelle aree degli occidentali – tra cui uno «mezzo famoso», come si definisce scherzosamente l’autore – possano rappresentare tanto una minaccia quanto una risorsa preziosa, una voce che le autorità cercano in qualche modo di influenzare. Pur raccontando queste dinamiche complesse, il punto di vista della narrazione è sempre alla portata del lettore, riuscendo a strappare spesso la sua risata con la tipica caratterizzazione dei personaggi, abbinata però al proposito di fargli conoscere qualcosa di importante.

Perché altrimenti affrontare il pericolo, aspettare giorni sotto al sole, ritrovarsi in macchina con i servizi segreti iracheni? Perché andare a Shengal? Perché nella città del popolo ezida, dopo il massacro di migliaia di persone ad opera dell’Isis con la complicità dei peshmerga di Barzani, è stato adottato il confederalismo democratico ispirato alle recenti teorie di Öcalan e del Pkk.

Zerocalcare si cala allora in quella realtà, cercando di spiegarne l’organizzazione, senza nascondere gli interrogativi – impersonati dalla testa parlante di Cartesio, filosofo del dubbio, a fronte di un quasi assente Armadillo – e le incongruenze, poche a dire il vero. Ne emerge infatti una comunità profondamente ferita, che ancora deve superare la violenza e la distruzione di cui è stata vittima. Per restituire su carta questo dolore, il fumetto è intervallato da alcune tavole su sfondo nero, in cui si immagina una delle tante possibili storie legate al massacro. Storie che hanno riguardato in primis le donne.

Eppure è da questa ferita ancora aperta che gli ezidi hanno tratto la forza necessaria per sperimentare un nuovo sistema di organizzazione, basato sull’uguaglianza tra i sessi e sull’autogoverno, realizzato attraverso un sofisticato sistema di assemblee. Sistema che, come si può immaginare, non piace a molti in quel territorio. E allora, prima di abbandonarlo, Zerocalcare riflette su una parola ormai così difficile da pronunciare per noi: la «rivoluzione», in un contesto in cui al concetto corrispondono azioni precise e persone che mettono in gioco la propria vita quotidianamente, e su cui diventa alla fine impossibile fare una qualsiasi ironia.