Il frastagliato universo multiculturale del Womex ha attraccato nella gallega A Coruña per la ventinovesima edizione. Con oltre 2700 professionals e artisti da 105 paesi, il Palexco è stato il cuore della Fiera. Di fronte alle mutevolezze del mercato delle musiche, si avverte la necessità che si traduce anche in responsabilità di costruire Reti tra interlocutori dello stesso Paese ma soprattutto transnazionali, come Siwem (Sino-European Women Entrepreneurs in Music), incentrato sul sostegno alle donne nel settore musicale, Upbeat, piattaforma europea di showcase per la world music, Most, rivolto allo sviluppo professionale di artisti dell’area balcanica e On the Move (vincitori del Womex Award), organizzazione belga che sostiene artisti e professionisti, lavorando per ridefinire la mobilità in modo equo, sostenibile e inclusivo. Significativa novità di questa edizione la presenza di un padiglione Italia, coordinato dall’Ice, che ha riunito festival, promoters, agenzie di booking, imprese e network regionali e label sotto un unico brand istituzionale nazionale.
Womex ha presentato sessanta showcase sparsi su sette palchi, selezionati dai 7 Samurai, tra cui Magalì Berardo, promotrice musicale italiana. Al Palacio de la Ópera, il concerto inaugurale ha omaggiato Picasso con un viaggio simbolico tra Andalusia, Galizia e Catalogna, con il duo gallego Antia Ameixeiras e Sabela Caamaño (violino, voce e fisarmonica), che ha fatto breccia tra molti delegati Certo è che gli itinerari sonori da conciliare per i Womexicans sono tanti, ma se si cerca un ascolto raccolto conviene non trascurare gli showcase diurni all’Auditorium del Palexco, dove abbiamo apprezzato Ustad Noor Bakhsh, dal Balucistan, con il suo benju, sorta di chitarra slide con tasti simili a quelli di una macchina da scrivere, elettrificato con un vecchio pick-up e un amplificatore trovati in un mercato di Karachi. Di corde in corde, successo per la coppia calabro-lucana Francesco Loccisano e Marcello De Carolis, i quali stanno aprendo nuove rotte sonore per la chitarra battente, pur conservando le tecniche di esecuzione tradizionali. Esperienza unica anche con le due tolosiane Cocanha, che hanno proposto canti polifonici da danza, in cui l’impasto vocale è sostenuto dal tambourin à cordes, il salterio a percussione.La rassegna ha presentato sessanta showcase sparsi su sette palchi, apertura con un omaggio a Picasso insieme al duo gallego Antia Ameixeiras e Sabela Caamaño

VENENDO ai set serali, fertili segnali di attraversamenti sonori sono arrivati dal quintetto Kutu, accolti al Pelicano Stage, sala da concerto/disco club. Creatura del violinista francese Théo Ceccaldi che ha scoperto le voci simbiotiche delle due cantanti Hewan Gebrewold e Haleluya Tekletsadik ad Addis Abeba, dando vita a un’incandescente collisione di musica azmari, ethio-jazz, trance, e urban culture. Nell’imponente Teatro Colón, sfavillante la performance del trio della violoncellista e cantante habanera Ana Carla Maza, accompagnata da pianoforte e batteria, con il suo universo musicale sconfinante dove si mescolano jazz, classica e repertori danzanti latinoamericani. Lo stesso fa la fisarmonicista e cantante bahiana Livia Mattos, forte dell’originalità timbrica indotta da batteria e tuba, incastonatrice di ritmi tradizionali, jazz e improvvisazione. Consensi al portamento jazz di matrice magrebina e classica araba dell’Aleph Quintet, e all’ambientazione elettronica dei canti yoik della sami-finnica Ánnámáret, la cui voce interagisce con beat digitali e politonalità della lira ad arco jouhikko. A cui è affine la talharpa del duo estone Puuluup, in scena nella tenda del Parrote Stage: loro usano svariate tecniche d’archetto che fanno convivere con loop elettronici, improvvisazione e canto in cui si assommano reminiscenze popolari e una vena surreale. Sempre dalla tenda prospicente il porto, si diffonde la potente macchina elettrica da danza maliana Bamba Wassoulou Groove e il superlativo Baiuca, performer di origine galiziana dallo sguardo futurista folktronico. Praticata in maniera intelligente, giustapposta o concepita come implacabile propulsione dance, l’elettronica è stata un’altra delle chiavi di volta di molti degli altri percorsi sonori tra Africa futurista, Latinoamerica e la stessa Europa,

IL FOCUS LOCALE, tra gli altri, ha portato sul palco dell’ottocentesco Teatro Rosalia de Castro (l’Atlantic Stage) il magnifico interplay tra la voce di Magalì Sare e il contrabasso di Manel Fortià, gli audaci transiti acustici tra folk, classica, post-rock e noise del quartetto Trilitrate, forte anche di dell’elemento visuale creato da una VJ, e il magistero canoro di Arnaldo Antunes e del giovane prodigio del pianoforte Vitor Araújo. Passando dalla selezione ufficiale all’OffWomex dell’Auditorium del Palexco, l’ammaliante vocalist slovacca Júlia Kozáková ci ha consegnato un viaggio dentro la musica romaní dalla Slovacchia. Scorre che è una delizia il set del bosniaco Almir Meškovic (fisarmonica) e del serbo Daniel Lazar (violino), che combinano energia e tecnica attingendo a repertori folklorici balcanici, ma portano con sé influenze dalla loro formazione classica e dall’approccio improvvisativo. Invece, negli Haratago il canto basco di Julen Achiary (figlio del grande Beñat) incontra cicli ritmici e modi azeri e turchi con un organico che annovera violone, ghironda, clarinetto e percussioni. Nel tour-de-force dei nottambuli al Club Summit, fa colpo l’Africa lontana da cliché pauperistici e maschilisti della DJ ivoriana Asna, esploratrice afro-elettronica. L’Artist Award è stato assegnato ai Bcuc, collettivo di Soweto dalla filosofia egualitaria, un agglomerato energico di hip-hop, funk, gospel, afrobeat ed espressioni tradizioni della nazione arcobaleno. Con la voglia di ascoltare il mondo (o almeno una buona parte) il Womex già si prepara al trentennale, dando appuntamento a Manchester.