Un’opera totale tra danza, poesia, cinema e teatro che racconta il nostro mondo in fiamme catapultando nell’oggi le figure archetipe della mitologia greca: è Infamous Offspring, la nuovissima creazione del coreografo, regista, filmmaker, fotografo fiammingo Wim Vandekeybus, uno dei maggiori autori della scena europea contemporanea, classe 1963, direttore a Bruxelles della compagnia Ultima Vez. Negli anni ha stregato pubblico e critica con spettacoli e film travolgenti per il fuoco di una danza che scardina il corpo dall’interno e per la visionarietà dei suoi montaggi per lo schermo.

DAL SUO PRIMO SPETTACOLO del 1987, What the body does not remember, a In spite of wishing and wanting in doppia versione performance e film con musica di David Byrne e un cast tutto maschile del 1999, da quella riflessione sulla vita quale è Inasmuch as life is borrowed a titoli degli anni Duemila come Blush sul rossore, il film Here after o il recente Hands do not touch your precious me, Vandekeybus continua a tenere gli spettatori sul filo teso delle emozioni.
Infamous Offspring ha debuttato in avant-première la settimana scorsa al Teatro Comunale di Ferrara che ne è coproduttore e che vanta con Vandekeybus una lunghissima storia di affetto e residenze creative, come è stato per questa anticipazione mondiale che sarà a Les Théâtres de la Ville de Luxembourg il 7 e l’8 novembre per la prima ufficiale e poi in tournée.

Due ore di spettacolo in cui si intrecciano più piani visivi e uditivi, una corsa dei sensi per abbracciare e non perdere tutto ciò che avviene in scena. Denso il testo della poetessa inglese Fiona Benson, in lingua originale con sovratitoli, che riscrive, con mano tagliente, tragedie, amori e voluttà dell’Olimpo. Parole crude che raccontano allargate genie divine in cui amore e odio vivono incidendo nel destino dei mortali il crinale tra vita e morte: scorrono nella bocca di Zeus e Era, personaggi che non escono mai dal film proiettato in alto su uno schermo, genitori divini stufi dell’eterna possibilità di vivere, stizzosi, implacabili, ignari di cosa sia la colpa per se stessi, eppure vendicativi. Era è la magnetica Lucy Black, capelli bianchi, una focosa alterigia frantumata di ironia nel dialogare con Zeus, l’attore Daniel Copeland, sposo-fratello artefice di tante seduttorie malefatte in terra e in cielo. Vagheggia, Era, sospirando, di poter tornare indietro alla giovinezza del letto e dei giochi incestuosi, teme che nella «prole infame» ci sia chi la voglia spodestare dal ruolo di regina, pronta a rovinarlo, si chiede con Zeus cosa fare con i violenti loro figli che furoreggiano nel mondo, ovvero nella scena sotto il film.

La redazione consiglia:
Il graffio di Wim VandekeybusEccoli i «divini capricciosi»: un cast giovanissimo di nuovi danzatori/attori a cui si aggiunge la contorsionista Iona Kewney che già lavorò anni fa con Vandekeybus, qui nel ruolo dello storpio Efesto, il fabbro degli dei buttato giù dal monte Olimpo: freneticamente si muove roteando e saltando per la scena e disegnando a carboncino su grandi pannelli di carta bestie, furie, volti umani. Il resto della prole olimpica, figliata da Zeus nelle sue scorribande sessuali con femmine immortali e mortali, dà corpo a fulminanti soprusi, stupri giustificati come infatuazioni divine, vendette, dialoghi a fondo cieco con gli irraggiungibili genitori. Nelle personalità vibranti della divina prole, spesso furiose tanto da far sì che ciò che muove il corpo esploda anche nella voce, battono le parole di Benson in cui prendono vita e forma miriadi di racconti mitologici mentre la prole impazza per la scena anche su una parete da climbing.
Tra le fonti ispiratrici della drammaturgia firmata da Margherita Scalise, anche assistente artistica di Vandekeybus, non manca non a caso Roberto Calasso: un invito a rileggere Le nozze di Cadmo e Armonia e a riaffondare l’immaginazione tra versioni dei miti mai uguali a se stesse.

Che presenza scenica la protesta disperata nel movimento e nella voce della danzatrice che impersona Artemide, di cui il mascalzone padre Zeus prende le sembianze per ingravidare la ninfa Callisto: Zeus, dal suo schermo lassù, si tramuta nel corpo di Artemide (grande effetto) e dà l’avvio al suo piano mostruoso, superficialmente poco toccato da quanto l’atto abbia significato per sua figlia che come dono al padre aveva solo chiesto di poter essere forte e vergine per sempre. Così diversa da Afrodite, la goddess of whores, dea delle puttane, la definisce Benson, per cui la verginità non è che un dettaglio anatomico non richiesto: il suo assolo, potente e furibondo, volto al senso del possesso, è disarmante. Apollo, bellissimo, nero, danza avvolto nella luminosità del movimento in fluidità, il padre gli si rivolge definendolo così «formale» con una punta di ironico disprezzo, temendolo in verità come un rivale. E ancora si danza e si dà visione tra film e scena alla tremenda nascita di Atena nella tempia di Zeus e al futuro sensualissimo Dioniso fatto crescere come un frutto nascosto dentro la coscia del divino genitore che intanto aveva fulminato la terrena madre. Non manca Ares, il dio della guerra perché dalla terra al cielo non c’è requie, impera la violenza, l’amore, se esiste, sembra non poter che seminare anche l’esatto suo contrario, serpeggia nel bene e nel male il nodo di una strana fratellanza.

CHI IN REALTÀ potrebbe mettere in guardia il mondo è Tiresia, il vaticinante cieco: Vandekeybus lo reinventa per la star del flamenco contemporaneo Israel Galvàn. Anche lui esiste solo su uno schermo, è un film: gli occhi sono aperti, la lettura del destino è il ritmo di un paio di tacchi battuti contro un tavolo e addosso a una parete. Un flamenco di mani con Tiresia bianco e incappucciato, ripreso solo dal busto in su, bloccato dentro il tavolo. Ma qualcuno mai lo ascolterà? Il tutto segnato dalla musica avvolgente e metamorfica di Warren Ellis/Dirty Three.
Resta negli occhi un materiale ricchissimo legato all’esigenza di un respiro dalla voracità e dalla violenza che ritmano il movimento dell’umanità oggi e di cui Infamous Offspring dà esacerbata visione.