Il voto ai fuorisede torna in Parlamento. Dopo cinque proposte di legge cadute nel vuoto dal 2018 a oggi, il nuovo progetto presentato il 12 gennaio in conferenza stampa alla Camera dei deputati aspira a essere una soluzione largamente condivisibile da tutte le forze politiche. La prima firmataria è la deputata dem Marianna Madia, che già nel 2019 si era fatta promotrice di una proposta sullo stesso tema. Calendarizzata per il 24 luglio 2021, la discussione aveva subito l’ennesimo stop per la fine della legislatura, terminata appena tre giorni prima con la caduta del governo Draghi. L’assenza di una legge apposita rende complicato l’esercizio del diritto di voto a 4,9 milioni di lavoratori e studenti italiani (il 10% del corpo elettorale) che abitano in un comune diverso da quello di residenza.

Fin dalla sua forma embrionale, la proposta è il frutto del lavoro del comitato Voto dove Vivo, istituito nel 2019 nel secondo municipio di Roma, uno dei quartieri della capitale – quello dove sorge l’università La Sapienza – con il maggior numero di studenti fuorisede. «Sono idee nate da un’istanza dal basso, che il Pd ha raccolto e tradotto in una proposta di legge» ha dichiarato in conferenza stampa il senatore Andrea Giorgis, che presenterà parallelamente il progetto al Senato. Alessandro De Nicola, membro del comitato promotore, spiega a il manifesto che la proposta «non presenta soluzioni impossibili da realizzare, ma ciò che in altri paesi europei, con una concezione del diritto di voto vicina alla nostra, è la norma da sempre».

Secondo il testo della proposta, chi si trova in un comune diverso da quello di residenza per motivi di studio, lavoro o cura durante la votazione di un referendum, avrebbe la possibilità di recarsi in un seggio all’interno del comune di domicilio, dato che le schede di voto sono identiche su tutto il territorio nazionale. Diverso il caso delle elezioni dei membri del Parlamento europeo, della Camera e del Senato, dove il voto in un collegio diverso da quello di residenza comporterebbe un’alterazione della rappresentanza e del principio di eguaglianza del voto. La proposta, quindi, è quella del voto anticipato presidiato: l’elettore potrebbe richiedere, anche tramite il sistema Spid, di votare all’interno del comune di domicilio circa 10-15 giorni prima della data stabilita per il voto a livello nazionale. «I seggi potrebbero essere istituiti anche in prefetture o tribunali – spiega De Nicola – con personale addetto al controllo, in modo da tutelare la sicurezza, personalità e segretezza del voto». La scheda verrebbe poi mandata nella sezione dove l’elettore risiede e arriverebbe in tempo per essere unita alle altre. «Esattamente come se si fosse votato nel proprio comune di residenza».

Viene accantonata l’idea del voto per corrispondenza – modalità che nel nostro Paese è riservata esclusivamente agli italiani residenti all’estero – su cui, invece, puntava la scorsa proposta. Le linee guida contenute nel Libro bianco sull’astensionismo elettorale, voluto dall’ex ministro per i Rapporti con il parlamento, Federico D’Incà, avevano però messo in guardia sui pericoli di violazione dei principi di personalità e segretezza nel voto per corrispondenza. «In questi anni di battaglia sul tema c’è stata una variabile costante: la contrarietà del ministero dell’Interno a qualsiasi forma alternativa al voto in presenza” afferma De Nicola. “Dato che il lavoro del Libro bianco è stato portato avanti da una commissione che annoverava al suo interno anche alcuni dirigenti del ministero, pensiamo che la proposta di oggi possa trovare maggiore consenso sia tra i tecnici che i politici».

Il comitato al momento si dice fiducioso. Alle ultime elezioni, il tema del voto ai fuorisede campeggiava nelle campagne elettorali di diverse forze politiche – oltre al Pd, anche +Europa e, in calcio d’angolo, il M5s – e la proposta di legge può contare adesso anche sulle firme di esponenti di Alleanza Verdi e Sinistra e Azione. Era assente, invece, nei programmi del centrodestra, che è adesso una maggioranza da convincere. «In questa fase bisognerà interloquire con il partito di maggioranza relativa e cercare di caldeggiare l’applicazione di un intergruppo, ma sulla carta nessuno è contrario. Ci auspichiamo quindi la più ampia convergenza, perché sarebbe insensato e politicamente insostenibile non dare supporto a questa iniziativa», continua De Nicola. Pensata per essere un progetto inattaccabile, la proposta di legge mette da parte anche il voto telematico, precedentemente previsto in forma sperimentale. «Il voto elettronico può essere un obiettivo a cui tendere come orizzonte, ma non siamo ancora pronti ad attuarlo. Non l’abbiamo inserito perché c’è un canale parallelo di sperimentazione a livello ministeriale e perché non aveva senso aggiungere un elemento di divisione».

Se tramutata in legge, la proposta permetterebbe di rimediare ad alcune storture e paradossi del sistema elettorale vigente, che consente modalità di voto alternative anche a chi si trova temporaneamente all’estero. Introdotto nel 2015 durante la riforma elettorale Italicum, il cosiddetto “voto agli Erasmus” richiede persino meno burocrazia di quella prevista per gli italiani residenti all’estero. «Se vado a Stoccolma per tre mesi posso votare per corrispondenza, mentre se mi sposto da Caltanissetta a Roma per lavoro devo necessariamente affrontare un viaggio di ritorno». L’Italia poi è l’unico Paese dell’Unione europea, ad eccezione di Cipro e Malta, che non prevede strumenti di voto alternativo a quello in presenza.

I pochi detrattori al progetto, racconta De Nicola, chiedono perché i fuorisede non possano semplicemente spostare la propria residenza. «Esistono però alcune fasce sociali più vulnerabili che non sono in grado di farlo agevolmente. Gli studenti fuorisede, in alcuni casi beneficiari del diritto allo studio universitario sulla base sul reddito del nucleo familiare di appartenenza, ma anche i lavoratori stagionali, con contratti spesso opachi e dalla durata di pochi mesi». Le città del sud Italia poi, dove si registrano i tassi di astensionismo più alti, sono quelle maggiormente interessate da fenomeni di emigrazione lavorativa o formativa. «Milioni di persone si ritrovano così costrette a tornare a casa a proprie spese, pagando un viaggio che, soprattutto verso alcune località del nostro Paese, rappresenta una spesa significativa. I rimborsi previsti – conclude De Nicola – sono dei semplici palliativi, che non possono compensare le perdite di tempo e di denaro subite».