Violenza maschile sulle donne, ricerca shock in Germania
Fondazione "Otto Brenner" Lo studio certifica le «forti distorsioni» giornalistiche e sociali sul fenomeno. Media interessati solo in caso di morte. E se c’è lo straniero. Sensazionalismi, omissioni, vittime ritraumatizzate... Tutto il contrario del giornalismo
Fondazione "Otto Brenner" Lo studio certifica le «forti distorsioni» giornalistiche e sociali sul fenomeno. Media interessati solo in caso di morte. E se c’è lo straniero. Sensazionalismi, omissioni, vittime ritraumatizzate... Tutto il contrario del giornalismo
Sono sempre tutti casi singoli, non è mai un problema culturale o politico, e fa davvero notizia solo se la vittima muore o c’è di mezzo lo straniero.
Lo studio su «Come i media raccontano la violenza sulle donne» appena pubblicato dalla Fondazione “Otto Brenner” (l’istituto scientifico del sindacato tedesco Ig Metall) riassume il contenuto di ben 3.500 articoli sul tema declinato in titoli che spaziano dal #Me Too al femminicidio. Risultato dell’analisi: l’informazione mainstream negli ultimi quattro anni ha offerto «forti distorsioni nella rappresentazione fattuale del fenomeno». Cioè l’esatto contrario del giornalismo.
IN OTTANTA PAGINE la ricercatrice Christine Meltzer certifica come la cronaca si sia prevalentemente concentrata sui casi sensazionali invece di accendere i riflettori sui più numerosi: «Più della metà degli articoli riguarda donne che sono state uccise, nonostante questo evento estremo rappresenti meno dell’1% degli atti di violenza. Al contrario la prima causa del fenomeno, le lesioni corporali, viene menzionata solo nel 18% degli articoli».
Non propriamente utile a far comprendere le reali dimensioni della realtà che solo un anno e mezzo fa l’ex ministra della Famiglia, Franziska Giffey (Spd) non esitò a definire «scioccante» dopo avere letto il rapporto annuale sulle quasi 115 mila vittime di violenza domestica in Germania.
Eppure «il fenomeno sui media non viene quasi mai presentato nell’ambito delle relazioni familiari sebbene partner ed ex partner siano responsabili di quasi il 40% dei casi denunciati. Degli articoli analizzati se ne occupa solo uno su quattro. Quasi il 70% delle notizie non evidenzia i modelli strutturali sullo sfondo delle violenze. La forma di segnalazione scelta dai cronisti è quasi sempre il caso individuale e non la questione politica o culturale. L’attenzione degli articoli è rivolta quasi esclusivamente agli accusati, mentre alle vittime viene concesso davvero poco spazio».
IN COMPENSO, GLI ORGANI d’informazione risultano molto interessati agli stranieri coinvolti nei casi di violenza sulle donne, anche troppo.
«C’è una menzione sproporzionata dell’origine degli accusati non tedeschi rispetto alle statistiche diffuse dalla polizia. Il modo in cui vengono classificati i sospetti di origine non tedesca può essere intesa come un processo di divisione fra “noi” e “loro”» sottolinea in particolare lo studio di Christine Meltzer.
Al contrario, il ricorso a formule come «dramma o tragedia che suggeriscono come gli autori siano anch’essi vittime dell’evento» negli ultimi quattro anni è stato limitato al 3% degli articoli. Merito, soprattutto, della forte critica nel dibattito pubblico, per cui già nel 2019 l’agenzia di stampa Dpa è stata costretta a dichiarare che non avrebbe più utilizzato questi termini.
LA RICERCA CERTIFICA, INOLTRE, i danni psicologici provocati da articoli che «ritraumatizzano» le vittime. «Banalizzare le dichiarazioni, concentrarsi sui sospetti e attribuire la responsabilità anche alla donna sono fattori rilevanti per la cosiddetta vittimizzazione secondaria. Nel resoconto giornalistico i dettagli giocano un ruolo fondamentale: informazioni personali come nome, età e professione avvicinano il pubblico a chi ha subito l’atto violento, specialmente tra le donne, mentre la loro assenza aumenta il victim-blaming, ossia l’idea che la vittima sia in qualche modo colpevole di ciò che è accaduto».
A tal proposito la ricerca si sofferma in particolare sulla nazionalità «menzionata in un quarto dei casi e prevalentemente riferita a iracheni, siriani o turchi. L’aggettivo «tedesco» invece compare solamente in un articolo ogni cento. La religione riportata più frequentemente rimane l’islam».
DIFFICILE, INFINE, che la violenza contro le donne oltrepassi la cronaca locale: sebbene i quotidiani pubblichino in media 20 articoli al mese sul tema, i media nazionali si concentrano sempre sui medesimi casi già noti al pubblico: «I 30 eventi più importanti rappresentano un quinto della copertura totale. In pratica la rappresentazione mediatica della violenza sulle donne è caratterizzata in misura rilevante dalla tematizzazione ripetuta degli stessi fatti».
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