La violenza istituzionale sulle madri è stata oggetto di indagine da parte della commissione Femminicidio del Senato, nella legislatura appena conclusa. Che cosa ne è emerso? «Il fenomeno della vittimizzazione secondaria, che la Convenzione di Istanbul sulla violenza di genere ci impone di evitare, è noto ma non è conosciuto – dice la ex senatrice Cinzia Leone che della Commissione era vicepresidente – e, per quanto riguarda i tribunali, il costante ridurre a conflitto tra coniugi ciò che invece viene denunciato come violenza domestica non fa altro che costringere le donne a rivivere quanto hanno subito e avuto il coraggio di rendere pubblico». E magari a scegliere di non denunciare, per non affrontare un calvario costellato di trappole, di umiliazioni, di perdita dei figli e anche di costi materiali proibitivi.

QUALCHE DATO. Tra i 2.089 procedimenti di separazioni con figli minori esaminati, 603 mostravano allegazioni di violenza, molte fornendo prove documentali, ma solo nel 15% dei casi i giudici avevano approfondito le accuse presentate (https://www.senato.it/leg/18/BGT/Testi/Allegati/00000366.pdf). «In questo modo si sminuisce da subito la denuncia e subentra il pregiudizio sulla parola delle donne» continua Leone. Specifica la relazione finale della commissione: «I racconti di violenza delle donne sono sempre negati, sottovalutati, considerati strumentali o non attendibili, anche dai giudici che non compiono accertamenti sulle dichiarazioni delle donne prima di disporre la consulenza.

IN AGGIUNTA, se la donna persiste nel riproporre il tema della violenza, viene considerata rigida, immatura, incapace di modificare il proprio punto di vista». Il meccanismo ha uno svolgimento più o meno analogo. Di fronte a una madre che ha denunciato il compagno per violenze, abusi, maltrattamenti, il giudice affida a un consulente tecnico, leggi psicologo, il compito di stabilire se i genitori sono idonei. Nei fatti, la consulenza si trasforma nel primo e unico elemento di prova.

NEL SILENZIO DEI MEDIA, nel disinteresse dell’opinione pubblica, l’uso delle Ctu – Consulenze tecniche d’ufficio psicologiche è diventato metodo probatorio nel circuito dei procedimenti per l’affidamento dei minori. Si lamenta un ex magistrato di Cassazione che ha studiato il fenomeno: «Invece di impegnarsi in un’accurata indagine istruttoria su specifici comportamenti degli adulti e soprattutto sulla risonanza che tali comportamenti hanno per il minore, a cominciare dall’obbligatoria audizione del minore superiore ai 12 anni, alcuni giudici di merito preferiscono percorrere la scorciatoia di alcuni stereotipi o nozioni alle quali la comunità scientifica mondiale non riconosce alcun carattere di scientificità». La Pas, appunto, ossia la Sindrome da alienazione genitoriale.

LE CONSULENZE, fra l’altro, costano e sono a carico delle parti. Ci sono madri che si sono svenate, per tentare di dimostrare che le loro denunce corrispondono ai fatti. Mentre psicologi e ausiliari del giudice (compresi i servizi sociali) non sapendo (o non volendo?) «cogliere gli indici rilevatori della violenza domestica», come dice la commissione Femminicidio, «invitano le parti alla mediazione e alla conciliazione, vietata invece dall’articolo 48 della Convenzione di Istanbul nei casi di violenza».

E I MINORI? Dovrebbero essere al centro di tutto. Ma succede che il giudice minorile non si informi sulle denunce di violenze e maltrattamenti. I figli non vengono ascoltati. Rileva la Commissione: «Nell’indagine emerge che solo nel 30,8% dei casi sono stati ascoltati i minori, e di questi solamente il 7,8% (pari a 14) ha ricevuto un ascolto diretto da parte del giudice. Pertanto, benché l’ascolto diretto del minore sia ritenuto da tutte le Convenzioni internazionali una pietra miliare dei “procedimenti che lo riguardano”, solo nel 4,5% dei casi i minori sono stati ascoltati in presenza del giudice con l’intervento di un ausiliario mentre nell’85,4% dei casi l’ascolto è stato delegato dal Tribunale o ai Servizi Sociali (21%) o ai consulenti tecnici d’ufficio».

E I PADRI? Si presentano agli incontri con i consulenti come «uomini addolorati e feriti» dal rifiuto, pronti a rientrare in contatto con i figli. Peccato che nel frattempo i loro avvocati abbiano presentato richiesta di collocamento in casa famiglia per quegli stessi figli in vista di un successivo affidamento esclusivo. Ma si sa, il padre anche se violento è «comunque padre», a destra, sinistra, a nord e sud, a ogni aliquota fiscale.
(2 – fine. La puntata precedente è stata pubblicata il 19 ottobre scorso).