La Corte europea per i Diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per non aver protetto una donna e i suoi figli dalla violenza del partner, violenza giunta fino a uccidere il figlio di un anno nel settembre 2018. Lo Stato dovrà versare alla donna 32 mila euro per danni morali; è la seconda condanna dell’Italia riguardo la violenza domestica. Il caso è quello di Annalisa Landi e del piccolo Michele, accoltellato a Scarperia, in provincia di Firenze, dal padre Niccolò Patriarchi mentre era in braccio alla donna, che tentò di salvarlo ricevendo lei stessa numerose coltellate. La figlia di 7 anni si salvò nonostante fosse stata aggredita anche lei dal padre. Secondo quanto si legge nella sentenza, «l’inerzia delle autorità, venute meno al loro dovere di condurre un’immediata valutazione proattiva del rischio di reiterazione degli atti violenti nei confronti della donna e del figlio, aveva consentito al partner di continuare a minacciarla, molestarla e aggredirla impunemente».

A Patriarchi era stato diagnosticato un disturbo bipolare, la compagna aveva più volte presentato denuncia. «L’Italia non ha messo in atto misure di protezione – accusa la Cedu – e non ha adeguatamente valutato o affrontato i rischi di violenza. I pubblici ministeri sono rimasti passivi. Le autorità competenti non hanno agito né immediatamente, come richiesto nei casi di violenza domestica, né in qualsiasi altro momento». Inoltre la Corte ha riconosciuto la correttezza del ricorso della difesa, rappresentata dagli avvocati Massimiliano Annetta e Roberta Rossi, presso la Cedu di Strasburgo prima di chiedere un risarcimento in Italia poiché la difesa «non disponeva di un rimedio civile da esaurire per far valere il fallimento dello Stato». Si tratta di un precedente importante che apre la strada ad altri ricorsi presso la Cedu.

«Per la prima volta sento di non essere più sola» il commento di Annalisa Landi. Secondo quanto si legge nella ricostruzione della Corte, la donna era stata vittima di almeno 3 gravi aggressioni (nel 2015, 2017 e a febbraio 2018) che avevano portato a interventi della polizia e a un procedimento contro l’uomo con l’accusa di violenza domestica ma «senza ordini per la protezione della signora Landi e dei bambini durante la fase investigativa» nonostante fosse stata riconosciuta la pericolosità dell’uomo dovuta alla sua malattia mentale. L’ultima aggressione, fatale, scatenata da futili motivi: «Era stato disturbato dal rumore causato dal figlio e da una telefonata arrivata alla donna». L’uomo ha prima aggredito la figlia poi la compagna, pugnalandola al viso e al corpo, e infine si è accanito sul più piccolo. Nel 2019 è stato condannato a 20 anni.

«Una sentenza per certi versi dirompente, che impone allo Stato italiano un rafforzamento delle misure di protezione delle vittime di reati violenti – il commento dell’avvocato Annetta -. Importante che la Corte abbia ritenuto immediatamente esperibile il ricorso perché in Italia non sussistono rimedi da perseguire per far valere il fallimento dello Stato nell’obbligo di protezione. Le autorità, si legge nella sentenza, avrebbero dovuto adottare misure di protezione indipendentemente dalla presentazione di denunce o del cambiamento di percezione del rischio da parte della vittima». La Rete nazionale D.i.Re.: «La Cedu ribadisce come il compito di uno Stato non si esaurisce nella mera adozione di disposizioni di legge, ma si estenda ad assicurare che la protezione sia effettiva».