Alias Domenica

Viet Thanh Nguyen, in fuga con i boat people, il racconto di uno di loro

Maika Elan da «Lomo Diaries», 2009-2014Maika Elan da «Lomo Diaries», 2009-2014

Dal Vietnam all’America Da Saigon ai negazionismi della Storia, il memoir dell’autore del «Simpatizzante», giocato su registri che vanno dall’elegiaco al sarcastico, passando per le peregrinazioni dei genitori: «Io sono l’uomo con due facce», da Neri Pozza

Pubblicato 15 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

Lunga e articolata riflessione sul rapporto e l’intreccio fra identità e memoria, individuale e collettiva,  che si snoda fra la soggettività e l’universo politico, Io sono l’uomo con due facce di Viet Thanh Nguyen (traduzione di Massimo Bocchiola, Neri Pozza, pp. 384, € 20,00) è la summa della poetica del critico letterario, romanziere e saggista americano-vietnamita, vincitore del Pulitzer con Il simpatizzante.  Toccando diversi registri – come d’altra parte suggerisce il sottotitolo, che in inglese è A Memoir, A History, A Memorial (tradotto con Memoria, Storia, Ricordo) –  Viet Thanh Nguyen  compie il proprio percorso letterario attraverso i ricordi frammentati della propria infanzia e gioventù, addivenendo a una riflessione consapevole sui negazionismi della storia e a un atto di ricostruzione che preserva, quando non le celebra, le memorie della sua famiglia e di un’intera comunità: è un «memoriale» dell’esperienza dei propri genitori, rifugiati vietnamiti giunti negli Stati Uniti nel 1975, con la caduta di Saigon.    

La genesi di questo complesso lavoro, che elabora interviste e conferenze dell’autore tenute fra il 2015 e il 2022, si sviluppa fra il racconto e la riflessione critica, e il suo tempo è quello delle presidenze di Obama e di Trump –  i cui nomi sono oscurati nel testo    poi gli anni del Covid, quindi del lock-down e del risorgere del razzismo anti-Asiatico negli Stati Uniti. Sono anche gli anni in cui la questione della decolonizzazione incompiuta o, meglio, la presa di coscienza delle conseguenze pervasive del colonialismo nella cultura occidentale, esplode in modo dirompente, uscendo dalla culla dei dibattiti universitari per imporsi sulla scena pubblica. L’ironia e a volte il sarcasmo dell’autore gli fanno equiparare il paese in cui vive a un marchio registrato di quella fabbrica di ideologia e di sogni capitalistici che è l’AMERICA®, dove la voce dominante – quella dell’uomo bianco – pretende di diventare la voce di tutti gli Altri – non bianchi – che ambiscono o più spesso sono costretti a fare parte di quella società.

La dimensione politica, in questo poliedrico lavoro di Nguyen, si intreccia alle questioni  personali, mentre lo sforzo di «rimembrare», di dare un senso non solo ai ricordi, ma all’atto stesso di ricordare e di dimenticare si risolve in una presa d’atto dell’impossibilità di ricomporre in modo univoco i propri molteplici «io», che si manifestano attraverso l’irruzione della lingua vietnamita, nelle sue espressioni familiari ed emotive, parlando degli affetti taciuti, negati o assenti al testo redatto nella lingua d’adozione, studiata e amata fino a farne la propria casa. Nell’Uomo con due facce, dunque, Ngueyn offre un ritratto del suo percorso di formazione emotiva, identitaria e intellettuale, a partire dalla esperienza traumatica della separazione dai genitori poco dopo l’arrivo negli Stati Uniti, in seguito alla fuga da Saigon scortati dall’esercito statunitense, fino al ricongiungimento, e, infine, all’esperienza accademica e politica con la ricerca faticosa di trovare una strada anche per la sua vocazione letteraria.

I toni elegiaci che usa quando parla di suo padre e di sua madre, Ba e Ma, e della sua famiglia, transfuga prima in Pennsylvania e poi in California, a San José, in quella che sarebbe diventata la Silicon Valley, ci restituiscono il ritratto di cattolici ferventi, fuggiti dal Nord verso il Sud del Vietnam negli anni Cinquanta, passati dal lavoro nei campi ad attività commerciali,  e infine approdati a Saigon, negli anni della guerra, lasciando indietro la figlia adottiva più grande, per abbandonare poi la capitale della Repubblica del Vietnam nel 1975. Sono boat people, «salvati» da quell’America che li disconoscerà in quanto rifugiati, incapace di ammettere che la loro presenza è conseguente alle proprie  imprese imperialistiche. Da loro ci si aspetta, piuttosto, gratitudine e adesione incondizionata all’ideologia del sogno americano. Lavorando e sacrificandosi per offrire  benessere, possibilità di studiare e sicurezza – libertà dalla paura – a Viet e al suo fratello maggiore,  Ba e Ma faranno la loro parte in quella che è stata in primo luogo una storia segnata dalle guerre, il cui passato riaffiora in pochi accenni ai fratelli del padre rimasti nel Sud-Est asiatico, alla carestia nel Nord degli anni Cinquanta, racconta in poche parole dalla madre, mentre chiede a Viet Thanh ancora bambino di strapparle con le pinzette i primi capelli bianchi.

In gran parte taciuto, quel passato non è tuttavia rimosso: non solo perché nella loro vita,  che condivide le sorti della «minoranza modello», lavoratrice, remissiva e silenziosa, sopravvive una resistenza debole ma costante alla cancellazione della propria storia; ma anche perché il dolore non si lascia metabolizzare, come rivela alla fine la malattia psichica della madre, una perdita di memoria irreversibile che porta alla luce la sofferenza della sua vita da «cosmonauta», passata dalla povertà del villaggio in Vietnam a una marginalità sociale, seppur benestante, nella California degli anni Novanta.  Come dice il figlio, nel commosso ricordo di lei, Ma è vittima di una delle tante guerre causate dal colonialismo occidentale, sebbene non conteggiata fra queste, come spesso non lo sono stati i rifugiati. Ricorre, nel libro di Nguyen, il termine dis-rimembramento, per indicare una memoria tessuta di ricordi e di rimozioni, di segreti che non sono tali e di altri che lo restano, perché riguardano la perdita, la violenza, la fuga, non solo dei suoi genitori, e di rimando la sua e di suo fratello, ma anche del vissuto dei cittadini americani, e dei loro luoghi. Prendere coscienza di questo dis-rimembramento, che riguarda milioni di persone, comporta il fatto di comprendere anche le proprie amnesie, e accettare che la propria appartenenza non sia situata in America, né in Vietnam, bensì nella dolorosa dislocazione – fisica e mentale – di chi è stato ed è un rifugiato.

All’inizio del libro, una fotografia fissa l’immagine di Ma con l’autore bambino: camminano insieme, in una piantagione di alberi della gomma in Vietnam, guardando di fronte e sorridendo. Nell’ultima pagina, sono ripresi di spalle, nello stesso momento. Tanto  tempo è passato.

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