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Viaggio in 20 cd nel pensiero di Béla Bartók

Viaggio in 20 cd nel pensiero di Béla Bartók

Improvvisi Da Warner Classics, un cofanetto che contiene quasi l’opera omnia dell'ungherese, compresi gli infiniti numeri di «Mikrokosmos». La serie degli interpreti è notevole, a cominciare dalle incisioni storiche dello stesso Bartók

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 30 gennaio 2022

Il gruppo Warner Classics, fondato a Parigi nel 1991, ha assorbito le etichette EMI, Erato, Teldec, e Virigin. Il suo catalogo è pertanto sterminato. Via via sta pubblicando cofanetti monografici dedicati a un compositore, o a un interprete, in cui si raccolgono incisioni storiche e recenti, altrimenti introvabili. Uno degli ultimi a uscire è Béla Bartók. The Hungarian Soul (€ 49,90).

L’ «anima ungherese» la si poteva lasciare nel cassetto, è riduttiva della figura di un compositore così complesso. I 20 cd comprendono comunque quasi l’opera omnia di Bartók, compresi gli infiniti numeri di Mikrokosmos. La serie degli interpreti è notevole. A cominciare dalle incisioni storiche dello stesso Bartók, cd 19. Andrebbero fatte ascoltare a tutti gli allievi di pianoforte e ai pianisti che pensano che Bartók componga musica «barbaramente» percussiva. Verrebbero smentiti dall’interpretazione stessa dell’Allegro barbaro. Bartók, infatti, è non solo uno dei massimi compositori del Novecento, ma era anche un sensibilissimo pianista, dal tocco assai vario. Arrivò secondo al concorso Rubistein, nel 1905, cui partecipò anche Wilhelm Backhaus che vinse il primo premio. Beethoven e Chopin gli erano dunque familiari.

Il lavoro che Chopin conduce sul folklore polacco, del resto, soprattutto nelle mazurke, è già sulla via che sarà di Bartók. Tanto è vero che a suonare il terzo concerto per pianoforte, cd 19, diretto da Paul Sacher, è Dinu Lipatti, storico interprete di Chopin. Fra le etichette da scavalcare prima e abolire poi quella di «scuola nazionale» è la più falsa, la meno aderente alla realtà storica: intanto perché ciascun compositore ha un suo modo di accostarsi al patrimonio popolare. Bartók, insieme a Kodály, fondò la moderna etnomusicologia.

E la musica popolare non è solo grido a squarciagola e violini tzigani. Per comprendere la complessità con cui è stata assorbita e assimilata, bisogna guardare, simultaneamente, allo sviluppo della tradizione colta, soprattutto tedesca, in particolare Bach, Beethoven e Brahms, da cui Bartók parte. È da questa prospettiva che Bartók legge la tradizione popolare, la reinventa, la sottopone ai procedimenti della musica alta. Soprattutto la riscrive inserendola in un tessuto fittamente contrappuntistico, sul quale elabora anche i ritmi.

A questo si aggiunge l’ampliamento del campo armonico, non già in cerca di colore locale, bensì per un uso disinvolto e liberissimo dei modi, sia popolari, sia della tradizione cristiana, tanto cattolica che ortodossa. Non resta che abbandonarsi alla sorpresa di ritmi che mutano continuamente, di melodie che si combinano con inesauribile fantasia. Ci sono poi i momenti di sospensione, di meditazione: nascono i sublimi adagi dei concerti, dei quartetti, delle sonate per violino. Lo spazio si dilata in immagini sonore che sembrano riprodurre la distesa sconfinata della puszta ungherese. Sono incisioni che vanno ascoltate con profondo raccoglimento.

Tra queste, i sei quartetti interpretati dal Quartetto Alban Berg; i tre Concerti per pianoforte affidati a András Schiff e l’orchestra del festival di Budapest diretta da Iván Fischer. Dalla seconda suite per orchestra op.4, al secondo concerto per violino interpretato da Yehudi Menhuin e Wilhelm Furtwaengler alla testa della Philarmonia Orchestra di Londra, è un viaggio nel pensiero di uno dei musicisti più affascinanti del Novecento. Il suo sistema compositivo non solo unisce la tradizione popolare ungherese e balcanica a quella colta che dall’Ars Nova arriva a Debussy, ciò che non costituirebbe una sua esclusiva; ma di entrambe le tradizioni penetra nel profondo la tecnica della composizione (c’è una tecnica anche nella musica popolare), reinventandola.

Ogni suo quartetto è insieme profondamente radicato nella tradizione musicale ungherese e non è meno strutturato nel senso della musica europea colta, soprattutto tedesca e francese. Un confronto con queste interpretazioni è offerto dal cofanetto, della Deutsche Grammophon, di Pierre Boulez, pubblicato nel 2009, dove l’intelligenza musicale si accende di furore incandescente.

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