Comunque vada, si rischia l’insuccesso. Le indiscrezioni sul viaggio a Taiwan di Nancy Pelosi aumentano le tensioni sullo Stretto e mettono Washington in una posizione scomoda. Qualora fosse confermata, si rischia una reazione “seria” da parte di Pechino. Qualora venisse cancellata, si darebbe un segnale di debolezza. In entrambi i casi, la portata delle azioni americane e delle reazioni cinesi verrebbe amplificata dalla contemporaneità con la guerra in Ucraina.

SECONDO il Financial Times, che cita sei fonti, la speaker della Camera degli Stati uniti si recherà a Taipei durante il tour asiatico in programma ad agosto tra Giappone, Singapore, Indonesia e Malesia. Si tratterebbe della visita dell’ufficiale americano più alto in grado dal 1997. Nessuna conferma ufficiale, come prassi in questo caso. Non confermano né Pelosi, né la Casa bianca e né il governo taiwanese. Alcuni funzionari Usa ritenevano che fosse più facile giustificare una visita subito dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Un primo tentativo c’era già stato ad aprile, con Pelosi che aveva cancellato la visita all’ultimo momento causa Covid.
Il governo cinese ha reagito con prevedibile durezza. Il ministero degli Esteri ha preannunciato «misure forti» e ha avvisato che gli Usa dovrebbero «sopportare le conseguenze» dell’aver minato la sovranità cinese. L’ex redattore del Global Times, Hu Xijin, chiede ai jet dell’Esercito popolare di liberazione di «accompagnare» l’aereo di Pelosi. Idea che sembra fare breccia tra i falchi, i quali ritengono che la visita di Pelosi possa in realtà creare l’opportunità di conquistare nuovo spazio e spostare le incursioni direttamente sopra i cieli di Taipei. Col rischio di un’escalation nel caso la difesa taiwanese reagisse.

PER PECHINO si tratterebbe di una mossa più grave rispetto a quella del 1997. L’allora speaker della Camera era Newt Gingrich, repubblicano all’opposizione di Bill Clinton. Pelosi è democratica come Biden e ciò non consentirebbe a Pechino di giustificare il viaggio come prodotto di uno scontro politico americano. Qui invece le parole di Pelosi e la sua sola presenza sarebbero interpretate come un’emanazione della Casa bianca. L’opposto di quanto accaduto a marzo, quando Biden aveva mandato una delegazione per tamponare la visita di Mike Pompeo prendendone simbolicamente le distanze. La Repubblica Popolare è peraltro molto più ambiziosa, più forte, apparentemente più pronta a “vedere le carte” degli Usa rispetto a 25 anni fa, fresca d’umiliazione per l’invio della flotta americana che pose fine alla terza crisi sullo Stretto.

Se il viaggio di Pelosi fosse confermato, al di là delle possibili reazioni militari, Pechino potrebbe confermare la linea retorica utilizzata sull’invasione russa: «Gli Usa gettano benzina sul fuoco e rischiano di costringerci alla guerra». A Taipei, però, diverse fonti ritengono che l’arrivo di Pelosi sia tutt’altro che scontato. «Potrebbe essere cancellato», dice una fonte politica. Ma la cancellazione darebbe un segnale di debolezza sia a Pechino, aumentando i rischi di azioni basate su calcoli errati, sia a Taipei, con conseguenze sulla sua politica interna. C’è chi ritiene che la vicenda possa essere usata come “pedina” nei dialoghi bilaterali. Non è forse un caso che le voci siano circolate prima della telefonata tra Biden e Xi Jinping.

In questi giorni è peraltro a Taipei l’ex segretario alla Difesa di Trump, Mark Esper, che ha chiesto di abbandonare l’ambiguità strategica. Martedì è passato un cacciatorpediniere Usa nelle acque dello Stretto, qualche settimana fa rivendicate come «acque cinesi» da Xi. Il contesto non aiuta le due potenze a fidarsi. E, peggio, ad ascoltarsi.