Il bando fascista firmato Mezzasoma e Almirante del 17 maggio 1944
Il bando fascista firmato Mezzasoma e Almirante del 17 maggio 1944
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Via Almirante a Grosseto. La strada che non vogliamo seguire

Revisionismo Al via l’operazione di equiparazione: vi si accederà dopo via della Pacificazione, snodo di una biforcazione che vedrà via Enrico Berlinguer. Il sindaco di FdI Vivarelli Colonna e la giunta di estrema destra hanno deciso dopo il nullaosta della Prefetta Berardino, moglie del ministro dell’Interno Piantedosi
Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 settembre 2023

Sarebbe possibile, e utile, richiamare alla memoria la figura di Giorgio Almirante in molti modi e in relazione ai diversi contesti da lui vissuti nel corso della storia d’Italia.

Lo si potrebbe ricordare come zelante promotore del razzismo di Stato negli anni del regime fascista, quando dalle pagine de «La Difesa della razza» il 5 maggio 1942 scriveva «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei». Si potrebbe rievocare la celebre foto che lo immortala il 16 marzo del 1968 sulla scalinata della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma alla testa di un centinaio di squadristi armati di bastoni e spranghe che aspettano di aggredire gli studenti riuniti per un’assemblea nella vicina facoltà di Lettere.

Si potrebbe ricordare l’ex segretario del Msi, partito d’origine ancora vivo nel simbolo di Fratelli d’Italia, sostenere, in diretta sulla Rai-Tv, il colpo di Stato militare dei colonnelli in Grecia durante la Tribuna Politica del 25 maggio 1970.

Si potrebbe rievocare l’amnistia di cui Almirante usufruì dopo essere stato rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato di Carlo Cicuttini già presidente di una sezione locale del Msi e uno dei due esecutori (insieme a Vincenzo Vinciguerra) della strage di Peteano del 31 maggio 1972 in cui morirono tre carabinieri.

Per seguire la traiettoria politica di Almirante da «fascista in democrazia» (come egli stesso si definì) negli anni della Repubblica si potrebbe rileggere la richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui presentata dal giudice Luigi Bianchi D’Espinosa per ricostituzione del partito fascista. Un’iniziativa, come tante altre relative all’estrema destra, destinata a cadere nel nulla all’interno di quei «porti delle nebbie» che erano i tribunali italiani in quei tempi.

A Grosseto invece il sindaco di Fratelli d’Italia, Antonfrancesco Vivarelli Colonna, e l’amministrazione comunale guidata dall’estrema destra hanno deciso (dopo il nullaosta della Prefetta Paola Berardino, moglie del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi) di ricordare Almirante dedicandogli una via della città a cui si accederà dopo aver percorso via della Pacificazione, snodo centrale di una biforcazione che dall’altra parte accoglierà via Enrico Berlinguer. Una operazione politica di equiparazione figlia anche di confuse narrazioni progressivamente adagiatesi su pamphlets giornalistici orfani di contestualizzazioni storiche e invece densi di aneddoti contingenti (la presenza di Almirante ai funerali del segretario del Pci nel 1984 o i colloqui «segreti» tra i due sul finire degli anni Settanta in ordine al tema del terrorismo).

A dissuadere da tale provocatorio disegno odonomastico non sono stati sufficienti né il parere contrario dell’Istituto di Storia Patria della Toscana, né le oltre duemila firme raccolte dai cittadini contrari né le iniziative e le proteste dell’Anpi.
Tuttavia, più ancora che per le giuste contestazioni, a far recedere il sindaco avrebbe dovuto recedere dalla sua posizione in ragione della conoscenza della storia della città che rappresenta.

Nel 1971 «Il manifesto» e «L’Unità» pubblicarono un documento ritrovato nell’archivio del comune di Massa Marittima. Si trattava di un bando del 1944 del governo della repubblica collaborazionista di Salò. Sotto l’intestazione «Prefettura di Grosseto» il bando intimava ai partigiani ed ai giovani soldati «sbandati» (che avevano rifiutato di arruolarsi nelle milizie fasciste) di presentarsi presso i comandi nazisti, pena la fucilazione alla schiena. Le firme in calce recavano i nomi del ministro fascista Fernando Mezzasoma e del suo capo di gabinetto al Ministero della cultura popolare: Giorgio Almirante. In quella stessa primavera (13-14 giugno 1944) a Niccioleta 83 minatori, tra i quali molti non avevano voluto rispondere ai bandi repubblichini, vennero uccisi nel quadro di un rastrellamento nazifascista della zona.

Almirante querelò i giornali per diffamazione sostenendo la falsità del documento. In tribunale comparvero Luciana Castellina per «Il manifesto» e Carlo Ricchini per «L’Unità». Nel 1973 la sentenza del processo, riconoscendo l’autenticità del bando a firma Almirante, stabilì la piena assoluzione dei giornali e la condanna al pagamento delle spese processuali per il segretario del Msi. Inoltre il pubblico ministero Vittorio Occorsio (assassinato il 10 luglio 1976 dal neofascista Pierluigi Concutelli elemento di Ordine Nuovo e già dirigente del Msi in Sicilia) annunciò l’avvio, che non ebbe corso, di una procedura contro Almirante «per i reati di calunnia e falsa testimonianza. Per aver affermato che il manifesto era apocrifo e per tutte le menzogne dichiarate davanti ai giudici».

Nel 2020 Liliana Segre aveva dichiarato «incompatibile per storia, per etica e per logica» il conferimento della cittadinanza onoraria che il comune di Verona aveva voluto assegnarle in concomitanza con l’intitolazione di una via ad Almirante. Perché nonostante la profondità della crisi politico-culturale della nostra sfera pubblica, la rimozione del fascismo dal nostro immaginario collettivo ed i tentativi di riscrittura del passato operata negli ultimi trenta anni dai nostri governi (non solo di destra), proprio la storia resta il riferimento essenziale non solo per comprendere da dove veniamo ma anche quale strada siamo disposti a seguire. E non sarà via Almirante.

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