Verónica Gago, economie e pragmatiche popolari
SAGGI Per Tamu, il lavoro della femminista argentina «Neoliberalismo dal basso»
SAGGI Per Tamu, il lavoro della femminista argentina «Neoliberalismo dal basso»
C’è una vivacità entusiasmante nelle analisi sull’inceppo della giustizia sociale nel mondo che vengono dall’America Latina, dove centrali sono le riflessioni e i movimenti lgbtq (che hanno l’intersezionalità come qualità endogena naturale). L’ultimo lavoro di Verónica Gago, Neoliberalismo dal basso. Economie barocche e pragmatica popolare (Tamu, pp. 288, euro 18, traduzione di Laura Abbruzzese e Sara Senese) procede dai suoi studi precedenti sul debito, sulle crisi neoliberali, sulle forme di resistenza, sulle modalità di risposta afferenti a quella «potenza femminista» che si apre su una maturità di riflessioni dalle quali partire per i progetti di un mondo degno.
IL METODO SCELTO è di una osservazione serrata del reale, dall’inciampo del capitalismo in Argentina del 2001, grazie al quale fu messo in crisi il pilastro dell’economia come la conosciamo, la moneta, alle reazioni di pragmatica popolare. Da questa prospettiva tutto comincia a essere radiografia di quegli intrecci tra un estrattivismo che riesce a collocarsi ovunque, anche negli spazi di disagio, con il suo portato di sfruttamento, alle forme di resistenza che travolgono i concetti di confine e di legalità, che inventano forme alternative di sostentamento dentro un quadro di informalità che è inesausta creazione e resistenza.
Libro costellato di domande e quindi libro che apre e produce dibattito, libro per il futuro che si nutre delle potenze e delle contraddizioni del mercato popolare della Salada, crocevia di cammini – per dirlo alla Jabes – nato all’indomani della crisi monetaria, e diventato un centro nevralgico di pratiche e contraddizioni («una pragmatica vitalista») tutte attraversate da uno scanner critico ricco di una bibliografia germogliativa e agente. «In questo libro chiamo economie barocche – un altro termine per indicare l’eterogeneizzazione dei tempi e delle logiche operative, della produzione di spazi saturi e di iniziative plebee – è un modo di nominare la costituzione politica delle economie popolari come terreni di lotta. Adottando questa prospettiva cerco di sfidare le letture totalizzanti del neoliberismo e le analisi che lo intendono esclusivamente in termini di sconfitta definitiva delle soggettività subalterne».
IL DISVELAMENTO di tale intreccio, reso possibile da uno sguardo telescopico già fornito di importanti strumenti critici, è lo scafo che ci permette di attraversare ipotesi e prospettive, che fa diventare movimentata la ricerca di altre forme di vita, che rendano il confine una invenzione superata, la finanziarizzazione un meccanismo svuotato da pratiche solidaristiche e collaborative, la governamentalità non una forma di assoggettamento ma l’ambito di nuove soggettivazioni, inedite e vivaci: «le forze emancipatrici all’interno delle economie popolari possono sfidare gli stereotipi di classe, genere e razze. Quando, invece, queste forze vengono scollegate dalle economie popolari, queste ultime diventano economie di servitù e povertà, esposte a nuovi apparati di governo che le gestiscono e le pacificano».
La trama della creazione e quella del conflitto sono, pertanto, un terreno di lotta quotidiano. La trama è l’immagine simbolica più forte di questo lavoro, che si concentra su uno dei portati economici della Salada, il lavoro tessile che diventa paradigma di quel lavoro politico da fare con incessante attenzione a non perdere maglie, a non lasciare spazi all’estrattivismo diffuso che pure lancia i suoi tentacoli in questo spazio dove assieme all’insorgenza non è scomparso lo sfruttamento. Le forme di cittadinanza resistenti, gli allacci comunitari, le mescolanze logistiche, come sono state spiegate dai lavori di Mezzadra e Neilson, più volte citati, sono sempre sotto attacco da rapporti di dominio. Essi «vengono alterati aprendo la strada (per adottare la prospettiva di Raquel Gutiérrez Aguilar) a nuove forme di decisione sulla ricchezza comune». Questo mercato illegale, che occupa oltre venti ettari al confine di Buenos Aires e la sua periferia urbana, è diventata l’anomalia nata dall’inciampo del capitale. In quegli inciampi abbiamo un futuro.
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