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Valico di Rafah, a Gaza salvarsi la vita si paga a peso d’oro

Valico di Rafah, a Gaza salvarsi la vita si paga a peso d’oroUna visita medica al campo di Rafah – foto Ap

L’Egitto specula sui palestinesi in fuga. L’Oms lancia un nuovo allarme sul crollo della sanità: altri tre ospedali a rischio chiusura

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 10 gennaio 2024
Michele GiorgioGERUSALEMME

Sara Doghmush è disperata. Vive in Italia e ha saputo che il padre, ferito una gamba da un’esplosione e bloccato da giorni su di un letto d’ospedale, nel pieno dell’offensiva israeliana nel sud di Gaza, può perdere l’arto. «I medici parlano di amputazione, per salvargli la vita, rischia una infezione mortale» ci scriveva ieri su Messenger chiedendoci aiuto. La soluzione, ci spiegava, è farlo uscire da Gaza e trasferirlo in un ospedale in Egitto o in un altro paese per salvargli la gamba. «Per questo chiedo donazioni, servono tanti soldi, 8 mila dollari» ha aggiunto.

UN DRAMMA simile lo vive il dottor Mohammed H., chirurgo vascolare a Bologna e cittadino italiano da molti anni. «La mia famiglia è a Khan Yunis» ci raccontava ieri sera al telefono «è sfollata dalla zona est e ora vive a casa di parenti. Tutti i giorni ci sono bombardamenti e sto cercando di portarla qui in Italia. Le autorità consolari italiane mi assistono ma al momento non ho risposte». Ci sarebbe la possibilità di far uscire la sua famiglia verso l’Egitto. «Però costa molte migliaia di dollari, anche 10mila a persona, mi hanno spiegato», aggiunge il medico palestinese. Perché tanti soldi? Non per le spese di trasporto come si potrebbe pensare. Quelle migliaia di dollari occorrono per pagare le elevatissime «tasse di coordinamento» alle autorità egiziane. Prima della guerra erano di centinaia di dollari. Ora per un palestinese di Gaza salvarsi la vita andando in Egitto costa una fortuna.

DAL VALICO di Rafah con l’Egitto non si esce solo in casi eccezionali come credono un po’ tutti. Come avveniva prima del 7 ottobre, i palestinesi possono inserire i loro nomi nell’elenco delle persone che intendono attraversare il confine. Solo pochissimi possono farlo perché gli intermediari che fanno capo alla società egiziana che si occupa del trasferimento da Gaza al Cairo – con collegamenti con i servizi segreti egiziani, secondo alcuni – chiedono somme favolose per garantire il salto verso la salvezza e lontano dai bombardamenti israeliani. Una speculazione ignobile sulla pelle di una popolazione stremata che sta costringendo non pochi palestinesi, come Sara Doghmush, a lanciare campagne di crowdfunding per raccogliere fondi. «La popolazione civile nella Striscia di Gaza, soprattutto i bambini, sta pagando un prezzo davvero troppo alto», commentava ieri il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, durante la conferenza stampa al termine degli incontri avuti con Benyamin Netanyahu e altri leader israeliani. Frasi scontate, che ascoltiamo da settimane. Washington non riesce neppure a garantire una uscita semplificata verso l’Egitto ai suoi 1300 cittadini, palestinesi con passaporto Usa, ancora bloccati nella Striscia.

Blinken proveniente da un lungo tour mediorientale alla ricerca di appoggi al piano Usa per il «day after» a Gaza, ha usato un tono decisamente più perentorio quando ha negato con forza che Israele stia commettendo un genocidio a Gaza. Accusa avanzata dal Sudafrica da cui lo Stato ebraico dovrà cominciare a difendersi da domani alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia. Vedremo se è dello stesso parere di Blinken la delegazione delle Nazioni unite a cui il governo Netanyahu permetterà di entrare nel nord di Gaza per valutare lo stato delle infrastrutture ed esaminare le necessità per il ritorno dei residenti palestinesi. Israele ha già chiarito che non sarà possibile, certo non nei prossimi mesi, per i palestinesi tornare nel nord della Striscia per la situazione sul terreno e se nel frattempo non saranno liberati i circa 130 ostaggi nelle mani di Hamas e altre organizzazioni armate.

ISRAELE afferma che sta passando da una guerra vera e propria a un’operazione più mirata nel nord di Gaza, mantenendo allo stesso tempo una pressione militare intensa nelle aree meridionali. Ieri ha comunicato che le sue truppe hanno ucciso circa 40 combattenti palestinesi e hanno fatto irruzione in una presunta base e in tunnel sotterranei di Hamas a Khan Younis. Ma la resistenza del movimento islamico non cessa. Nove soldati sono stati uccisi, in prevalenza del genio mentre cercavano di far saltare una galleria. Non è escluso, ipotizzavano ieri i media israeliani, che il loro veicolo carico di esplosivi sia stato colpito per errore da una cannonata sparata da un carro armato. Ben più alte sono le perdite civili palestinesi. 126 sono stati uccisi e 241 feriti tra lunedì e martedì mattina, a conferma che l’offensiva israeliana sarà pure entrata nella «terza fase» più limitata ma non diminuisce il numero delle persone innocenti uccise ogni giorno, inclusi bambini.

SEAN CASEY, coordinatore delle squadre mediche di emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a Gaza, ieri ha lanciato un nuovo allarme sul crollo del sistema sanitario palestinese. E ha accusato Israele di negare l’accesso degli aiuti umanitari in molte zone della Striscia. «Ogni giorno allineiamo i nostri convogli, aspettiamo l’autorizzazione e non la otteniamo, poi torniamo indietro e lo facciamo di nuovo il giorno successivo», ha denunciato. Casey ha detto che per la paura causata dai bombardamenti, molti membri del personale dell’ospedale Nasser di Khan Younis sono fuggiti lasciando i pazienti nelle mani di pochi colleghi. L’ufficio di coordinamento umanitario dell’Onu (Ocha) ha aggiunto che tre ospedali nel centro di Gaza e a Khan Younis sono a rischio di chiusura. In serata si è appreso di nuovi bombardamenti sul campo profughi di Nuseirat con sette morti nella famiglia Farjallah e 10 nella famiglia Zared. Allo svincolo di Farhoud sono state uccise altre dieci persone.

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