Il disegno di legge del governo sul contrasto alla violenza maschile è stato approvato in Consiglio dei ministri a giugno, ora si parla di accelerare i tempi di votazione in Parlamento. Senatrice Valeria Valente, come si comporterà il Pd?
Il provvedimento è buono, sicuramente migliorabile ma noi siamo pronti a collaborare. Sopratutto perché il 70% del testo di quel ddl trae spunto dalle relazioni conclusive della Commissione d’inchiesta sui femminicidi e da un precedente provvedimento varato dal governo Draghi. La maggioranza attuale ha calcato un po’ la mano su alcune misure che personalmente mi convincono poco, ma l’impostazione generale è la stessa. Mi sembra, da parte di questo governo, un gesto, non dico di umiltà, ma quantomeno di riconoscimento del lavoro svolto in precedenza su questi temi. Poi ci si specula sopra, si fanno dichiarazioni roboanti ma la sostanza della legge è condivisibile e saremmo incoerenti a non votarla. Se ci sarà spazio per gli emendamenti cercheremo di rafforzare gli aspetti della prevenzione. Anche se rimane una legge focalizzata sul penale, inserire troppe variabili espone al rischio di non avere più i numeri per farlo passare.

Cosa pensa delle leggi più recenti, il Codice rosso del 2019 e il rafforzamento approvato lo scorso maggio per iniziativa della senatrice leghista Giulia Bongiorno?
Noi come partito Democratico ci siamo astenuti su entrambe le iniziative. Il Codice Rosso ha delle buone intuizioni, come quella di voler accelerare i procedimenti per violenza domestica e quella di investire nella specializzazione del personale giuridico e delle forze dell’ordine. Entrambe le intuizione però non vengono perseguite in maniera efficace dalla norma.

Il testo del governo riuscirà a colmare queste lacune?
Una norma, da sola, non può risolvere i problemi. Sicuramente sull’aspetto penale e punitivo si faranno dei passi in avanti. Ma le leggi vengono applicate dalle persone ed è sulla formazione delle persone, così come sulla battaglia culturalecontro stereotipi e pregiudizi, che c’è ancora tanto da fare. Le dichiarazioni che ho sentito in questi giorni mi trovano in profondo disaccordo. Valditara ha proposto di parlare di violenza di genere nelle scuole il 25 novembre (Giornata internazionale contro la violenza maschile, ndr) ma è evidente che un giorno all’anno non sposta nulla. Salvini ripropone il leit motiv della castrazione chimica come se gli autori delle violenza fossero uomini malati, quando sono invece espressione di una cultura sessista.

Cosa impedisce all’Italia di avere una legge che istituisca l’educazione sessuale nelle scuole? Nemmeno il Pd è riuscito a farla quando è stato al governo.
Nel 2017 quando eravamo al governo abbiamo emanato della linee guida, firmate dall’allora ministra dell’istruzione Fedeli. Il problema è che l’autonomia scolastica rende difficile monitorare la ricezione effettiva di queste indicazioni. Con la Commissione d’inchiesta femminicidi abbiamo avviato un’indagine su come scuole e università si siano adeguate alle direttive, ne emerge che troppo spesso è tutto lasciato alla sensibilità del singolo dirigente d’istituto o insegnante. Bisogna approfondire questa indagine e trovare gli strumenti per rendere più cogenti queste disposizioni.

Si esita anche perché il tema dell’educazione sessuale può essere divisivo per l’opinione pubblica?
A volte si evoca lo spauracchio della teoria gender, ma non si tratta di questo. Nemmeno io sono d’accordo a insegnare il gender negli asili, qui si tratta di fornire un’educazione alla differenza tra i sessi e al rispetto. Alla gestione della rabbia e dei sentimenti. Su questo non credo ci sarebbero divisioni ma la politica deve assumerlo come priorità.