«Uzeda do it yourself», un ponte tra la Sicilia e il resto del mondo
Musica Parla Maria Regina, regista del doc dedicato alla band catanese tra i precursori dell’italian noise
Musica Parla Maria Regina, regista del doc dedicato alla band catanese tra i precursori dell’italian noise
«È come se gli Uzeda avessero scritto il manuale di quello che andava fatto, hanno reso tutto facile per i gruppi che sono venuti dopo», spiega Jeff Mueller dei June of 44, chiarendo in poche parole perché la band di Catania è così seguita e venerata. Tra i precursori dell’italian noise, l’unica band italiana (insieme alla Pfm) invitata a partecipare alle Peel Sessions sulla Bbc, un gruppo che ha girato e venduto soprattutto all’estero, ma che al contempo è stato al centro del risveglio musicale, così radicale e irripetibile, della città ai piedi dell’Etna, creando un ponte tra la Sicilia e il resto del mondo. Ora, a raccontare cosa rappresenta questa band, arriva Uzeda do it yourself, documentario realizzato dalla regista Maria Arena, presentato in anteprima mondiale al festival Biografilm a Bologna lo scorso giugno e che chiuderà il tour nelle sale domani al cinema Beltrade di Milano.
LA REGISTA, anche lei catanese, conosce la band da sempre, ma il vero incontro con gli Uzeda avviene in occasione della realizzazione del suo primo lungometraggio nel 2014, Gesù è morto per i peccati degli altri, documentario che racconta la vita della comunità di transessuali e prostitute nel difficile quartiere di San Berillo. Per la colonna sonora del film vengono infatti coinvolti alcuni musicisti catanesi, come Cesare Basile, il cantautore Kaballà, gli Uzeda. «Ovviamente io mi sono innamorata della loro musica e ancora di più della loro storia», ricorda la regista, «una storia importante, che parla di indipendenza in senso radicale, come modo di vivere la musica. È stata questa la cosa che mi ha colpito, la loro vicenda avventurosa, questo loro credere in un sogno. Per loro fare musica è un’esperienza, hanno un atteggiamento completamente diverso rispetto a quello che conosciamo oggi e mi ha colpito molto, e per questo ho voluto seguirli».
La produzione del documentario è durata otto anni, con la regista che ha iniziato il lavoro in solitudine, trovando strada facendo la casa di produzione Point Nemo a supportarla. Per completare il montaggio, è stato lanciato un crowdfunding, che ha mostrato quanto sia di supporto la comunità di fan degli Uzeda . «È stato Colapesce a darmi l’idea», ricorda Maria Arena, dopo averlo incontrato casualmente a una data degli Uzeda a Catania. Per avviare la raccolta fondi, il musicista siracusano ha anche organizzato un concerto nel febbraio del 2023, insieme a Roy Paci e ai Three seconds kiss (la band di Sacha Tilotta, figlio di Giovanna e Agostino, e fonico della band). In due mesi, sono stati raccolti più di 20mila euro, e da lì è iniziato il montaggio di Antonio Lizzio, durato quasi un anno.
IL FILM segue i numerosi tour della band dal 2016 in poi e le registrazioni di «Quocumque jeceris stabit» insieme al produttore Steve Albini, che ha rappresentato nel 2019 il ritorno al disco per gli Uzeda dopo tredici anni. Un’ampia sezione viene inoltre dedicata alla festa per il trentesimo anniversario del gruppo, con un festival di due giorni che si è svolto a Catania nel 2018. Il documentario è una delle ultime testimonianze del lavoro del musicista e leggendario produttore, morto lo scorso maggio. Il leader degli Shellac è una sorta di co-protagonista nel film, data la sua lunghissima amicizia con la band catanese, fin dalla registrazione del loro secondo album Waters, nel 1993. Nel film Agostino Tilotta racconta com’è cominciata, con una telefonata da un telefono pubblico a gettoni al suo studio di Chicago. E com’è proseguita, ad esempio con le registrazioni di 4 nel 1995 in Francia, su invito di Steve Albini e con la friendly assistance della Touch and go records, poi diventata collaborazione che ha reso gli Uzeda la prima band non statunitense sotto contratto per l’etichetta. Dopo essere rimasti in quattro a seguito dell’abbandono del chitarrista Gianni Nicosia, per finanziare la trasferta in treno fino ad Angers il gruppo organizza un concerto all’Experia, a cui partecipano 1300 persone.
«IL RAPPORTO con Steve Albini è importantissimo per la musica degli Uzeda», spiega la regista. «È fondamentale per la concezione che questa band ha del disco, inteso come documentazione di un momento, portando in studio dei brani che prima di uscire vengono suonati dal vivo, crescendo concerto dopo concerto. Gli feci la prima intervista da sola, mi tremavano le gambe quando gli mettevo il microfonino, ero preoccupatissima: funzionerà? L’ho intervistato poi tantissime altre volte, era una persona straordinaria e generosa, davvero gentile e paziente. Mi dispiace veramente che lui non abbia potuto vederlo e che non sia più qui con noi, non ho parole, è stata una mancanza incredibile».
Il racconto della città è un’altra componente imprescindibile per conoscere gli Uzeda, che ne incarnano l’anima più profonda e oscura. «Catania si trova ai piedi dell’Etna, il vulcano» riflette Maria Arena. «È una città nera, fatta di pietra lavica. Le persone qui vivono a contatto con una catastrofe imminente, con l’eruzione che incombe. Questo terrore inconscio, questa prossimità alla morte, tangibile nella sabbia nera che piove in città, nella fontana di fuoco visibile dal mare o nei boati che ti svegliano la notte, rende Catania una città affamata di vita, sorprendentemente vitale, dove la gente si gode molto la notte.
Gli Uzeda incarnano questa energia, e in qualche modo portano fuori il nero che noi catanesi abbiamo dentro, questo sentimento della morte. Per questo fanno della musica così dura, probabilmente». «La nostra esperienza è possibile per chiunque», dice a un certo punto del film Giovanna Cacciola, la cantante degli Uzeda. Il percorso della band, costruito con determinazione muovendosi nell’underground, ancora oggi è un esempio per tutti.
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