Mario Draghi con il presidente Usa Joe Biden alla Casa bianca foto Ap
Mario Draghi con il presidente Usa Joe Biden alla Casa bianca – Ap
Politica

Usa e Ue in pressing su Draghi. Il premier per ora non cede

Crisi di governo Il Quirinale ritiene che le elezioni in autunno debbano essere evitate e fa quel che può. Da palazzo Chigi segnali negativi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 luglio 2022

È un vero e proprio assedio internazionale. Le pressioni su Mario Draghi perché torni sulla sua decisione e accetti di cercare un varco per risolvere la crisi evitando le elezioni anticipate arrivano da ogni parte.

La più significativa è a stelle e strisce. Il consigliere per la sicurezza della Casa Bianca Jake Sullivan è quasi esplicito: «Il presidente Biden ha un profondo, profondo rispetto per Draghi. Segue da vicino quanto sta accadendo a Roma».

Il presidente Joe Biden ha un profondo, profondo rispetto per Mario Draghi. Segue da vicino quanto sta accadendo a Roma Jake Sullivan

Parla del premier italiano, pur senza nominarlo, anche il portavoce della Commissione europea Peter Stano quando fa suonare le sirene d’allarme: «La Russia tenta di destabilizzare l’Unione europea» e lo fa anche utilizzando la politica interna.

E il vicepresidente della Commissione, l’olandese Fans Timmermans, scrive in italiano su twitter: «Mario Draghi è un partner autorevole nel contesto europeo e internazionale. Il suo contributo in questo difficile momento storico è importante per l’Italia e per l’Ue»,

Non sono voci nel coro: sono assoli. Perché nello stesso Quirinale regna la convinzione che a smuovere il premier, a questo punto, possono essere solo le pressioni internazionali e va da sé che l’esposizione del presidente degli Usa è il massimo della pressione possibile.

Per ora Draghi non cambia idea. I segnali arrivati al Colle anche ieri restano del tutto negativi. Però è anche vero che il premier, che sarà al Senato mercoledì mattina e alla Camera nel pomeriggio, ha anticipato il ritorno a Roma dal viaggio in Algeria.

Sarebbe dovuto rientrare martedì, alla vigilia dell’intervento dimissionario di fronte al parlamento. Ha modificato l’agenda in modo da rientrare già lunedì sera. Che sia o meno una coincidenza, ipotesi poco probabile, avrà dunque tutta la giornata di martedì per verificare se la situazione è cambiata tanto da aprire spiragli per un ripensamento.

La situazione, già in salita, lo è diventata ancora di più dopo la levata di scudi di Lega e Fi che, con il palese obiettivo di arrivare alle elezioni in autunno, si sono definite «alternative» al M5S e hanno così cancellato ogni possibilità di rianimare questa maggioranza, avendo Draghi affermato più volte, anche prima delle dimissioni, di considerare impossibile un governo senza M5S.

Ma il Colle non si arrende. Palazzo Chigi insiste sulla «convergenza di valutazioni» tra il capo dello Stato e il premier ma quella convergenza è in realtà inesistente.

Mattarella ritiene che le elezioni in autunno debbano essere evitate, fa quel che può per raggiungere l’obiettivo.

Una formula che potrebbe salvare la situazione sulla carta ci sarebbe. Se la resa dei conti in corso nel M5S portasse a una nuova ondata di uscite di parlamentari dal Movimento, inclusi nomi di notevole rilevanza, si potrebbe sostenere che il perimetro della maggioranza non è in realtà cambiato e che «il vero M5S» c’è ancora, tirandosi così fuori dal vicolo cieco. Ma allo stesso tempo si moltiplicano anche gli appelli sul Cavaliere, tanto discreti quanto martellanti, perché torni su quel veto, «Mai più con i 5 Stelle».

Sergio Mattarella foto LaPresse
Sergio Mattarella, foto LaPresse

Non è affatto detto però che tutto questo febbrile lavorio abbia un senso. Perché così fosse dovrebbe esserci una pur vaga disponibilità di Draghi. Al momento non c’è, nulla attesta che ci sarà entro mercoledì prossimo.

L’intera giornata chiave è in realtà circondata da fitta nebbia. Non è chiaro se al termine del dibattito ci sarà un voto, e la bilancia pende più per il no che per il sì. Non è neppure certo che ci sarà un dibattito, o almeno che il premier assisterà a quel dibattito invece di recarsi al Colle subito dopo le sue comunicazioni per formalizzare le dimissioni respinte giovedì da Mattarella.

Infine è ignoto il tono che sceglierà di adoperare: se sarà un cortese addio oppure una critica serrata ai comportamenti dei partiti della maggioranza.

Mario Draghi, foto Getty Images
Mario Draghi, foto Getty Images

In questo quadro non può essere neppure dato del tutto per scontato che sia questo governo a restare in carica da «non sfiduciato», dunque con qualche potere in più, sino all’apertura delle urne.

Ma questi sono problemi che il capo dello Stato si porrà solo se sarà costretto a rassegnarsi a una crisi che spera ancora di evitare. Grazie alla sua opera e a quella dell’«amico americano».

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