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Upp: «Nel Rojava crisi devastante, l’Italia ritiri i soldati dalla Turchia»

Upp: «Nel Rojava crisi devastante, l’Italia ritiri i soldati dalla Turchia»Famiglie in fuga da Sere Kaniye (Ras al-Ain) nel nord est siriano – Afp

E così Siria L'appello dell'ong italiana Un Ponte Per: ospedali e ambulanze colpiti, 275mila sfollati e 1,6 milioni di civili che necessitano immediatamente di aiuti umanitari

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 17 ottobre 2019

A una settimana dall’inizio dell’offensiva turca del nord della Siria, nel Rojava, i numeri raccontano la distruzione: 275mila sfollati (tra loro 70mila bambini), un milione e 675mila persone che necessitano di aiuti umanitari, decine di vittime civili. E ancora ambulanze bombardate o sequestrate dalle gang islamiste, ospedali chiusi dai raid o dagli scontri terrestri, campi profughi svuotati o allo stremo.

A dare il quadro della crisi umanitaria nel Rojava, ieri alla sala stampa della Camera dei Deputati a Roma, è stata l’ong italiana Un Ponte Per (Upp). Presente nel nord-est siriano dal 2015, da decenni impegnata nei teatri di guerra e instabilità del Medio Oriente, appena pochi giorni fa è stata costretta alla scelta più dolorosa: ritirare il proprio staff internazionale e italiano dalla Siria e a lasciare sul campo quello locale.

«Registriamo attacchi quotidiani al personale sanitario e alle strutture mediche – spiega Luca Magno, capomissione Upp in Siria – Le milizie filo-turche hanno assunto il controllo del campo di Ain Issa, costringendo le ong ad andarsene. Ieri il nostro partner, la Mezzaluna rossa curda, ha dovuto evacuare i pazienti dall’ospedale di Tel Temer, a oggi il più importante centro della zona per i feriti di guerra».

«Tutte le parti del conflitto devono lasciar passare gli aiuti umanitari e lo staff delle organizzazioni internazionali, i valichi di frontiera devono restare aperti o la crisi sarà devastante», continua. «Servono medicine e servono medici – gli fa eco Yilmaz Orkan, Ufficio informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) – Gli ospedali tra Kobane e Ras al Ain non funzionano più, i pazienti sono stati spostati ad Hasakeh».

Pazienti che aumentano con l’aumentare dei raid sul Rojava e dell’avanzata delle milizie islamiste alleate di Ankara, per ora rallentata dalla resistenza delle Forze democratiche siriane. E aumentano gli sfollati, diretti verso l’interno: «Non c’è ancora un esodo fuori dal paese – aggiunge Magno – Sono poche le famiglie entrate nel Kurdistan iracheno, 300 persone. Erbil ha detto di essere pronta ad aprire altri campi profughi in caso di necessità».

Ma, sottolinea Yana Chiara Ehm, deputata M5S nella Commissione Affari esteri, «è grande la preoccupazione delle autorità curdo-irachene per l’eventuale arrivo di nuovi rifugiati», dopo i due milioni di siriani e iracheni accolti in questi anni.

«Stiamo lasciando solo Davide contro Golia. Abbiamo armato la Turchia e ora assistiamo all’efficacia di quelle armi – spiega Angelica Romano, co-presidentessa di Un Ponte Per – Chiediamo di ritirare il contingente italiano dalla Turchia e la batteria antimissile al confine». Sono i 130 soldati e la batteria di missili terra-aria Aster Samp/T dell’operazione della Nato «Active Fence», a difesa dello spazio aereo turco.

«Chiediamo l’embargo immediato delle armi e una no-fly zone nel nord-est siriano». Un appello a cui si è unita anche la voce di 73 organizzazioni operative in Siria, tra cui Oxfam: «Cessate il fuoco subito».

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