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Un’«opera umanista» sulla necessità del dialogo

Un’«opera umanista» sulla necessità del dialogo

Cinema Alla Festa del cinema di Roma Scott Cooper racconta il suo «Hostiles»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 27 ottobre 2017

«I film western non sembrano mai passare di moda» dice Scott Cooper il cui nuovo film – Hostiles – è proprio un western dall’apparenza tradizionalissima: ambientato nel 1892, sulla pericolosa strada tra il New Mexico e il Montana. «Per me il film – aggiunge però Cooper – è un western solo in termini di epoca e luogo in cui è ambientato: lo vedo più come un’opera ’umanista’ che attraversa i generi per raccontare una storia di sentimenti umani universali».

A presentare Hostiles a Roma insieme a Cooper ci sono Rosamund Pike – protagonista del film insieme a Christian Bale – e Wes Studi, che veste i panni del capo Cheyenne Yellow Hawk. L’attrice inglese interpreta Rosalie, a cui un gruppo di indiani sterminano l’intera famiglia e che si unisce al pericoloso viaggio dei protagonisti: «Credo che Rosalie sia una donna forte in modo diverso dai personaggi femminili dei film contemporanei – spiega – che sono forti solo in quanto hanno dei ruoli ’maschili’: la sua forza è invece prettamente femminile». Parlando di donne, Pike fa riferimento senza citarlo direttamente anche al Weinstein-gate che da settimane tiene banco a Hollywood: «Abbiamo visto di recente cosa può succedere quando le donne si uniscono e decidono di farsi sentire».

Cooper, che è nato e vive in Virginia, cita invece i riots di Charlottesville: «È stato difficile venire a patti con quello che è successo quest’estate dopo gli otto anni pieni di speranza della presidenza Obama».
Anche il presidente Trump non è mai nominato direttamente ma è protagonista di quella contemporaneità con cui, dalla fine del diciannovesimo secolo, il film dialoga: «Mentre giravamo, ciò che succedeva negli Usa è diventato sempre più rilevanti rispetto alla storia di Hostiles, al suo protagonista a cui è stato ’insegnato’ l’odio per i nativi». L’odio che attraversa tutta la storia americana, continua il regista, verso un nemico esterno o interno: «Una costante che è strettamente legata all’imperialismo».

Non è un segreto, aggiunge Cooper, «che la divisione culturale e razziale negli Stati Uniti si stia ampliando ogni giorno che passa, che il paese sia polarizzato come non mai tra città della costa e stati centrali, dove l’incontro con persone provenienti da tutte le parti del mondo, con le minoranze eccetera, è molto più difficile».
Ed è proprio l’incontro, secondo Cooper, il tema al cuore di Hostiles: «Spero che questo film dia inizio a una conversazione sull’inclusione, la conciliazione, la guarigione da una ferita profonda». Nonostante la cupezza della situazione politica e sociale: «Se continua così, sarà molto dura», osserva Cooper che istituisce addirittura un parallelo tra il mondo di oggi e quello su cui aleggiava lo spettro nazista : «Ce l’abbiamo già fatta prima, negli anni Quaranta. Ma speriamo che non si arrivi a tanto».

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