Scuola

Università, Bernini spinge i ricercatori al precariato a vita

Torino, dottorandi e ricercatori del Politecnico foto di Jessica Pasqualon/AnsaTorino, dottorandi e ricercatori del Politecnico – foto di Jessica Pasqualon/Ansa

Educazione cinica La legge approvata con il governo Draghi non è mai diventata operativa, il nuovo esecutivo prepara la sua controriforma

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 10 giugno 2024

Come in ogni settore lavorativo, anche nella ricerca la retorica di destra del merito e del rientro dei cervelli in fuga si infrange contro la realtà del precariato. Il governo Meloni ha deciso di istituzionalizzarlo e ampliarlo, difficile che gli sgravi fiscali promessi riescano a convincere i migliori laureati italiani a fare ricerca per il proprio paese. La ministra per l’Università, Anna Maria Bernini, è intenzionata a riformare il pre-ruolo e cioè il periodo tra il dottorato e l’ingresso nel ruolo di associato ordinario, sconvolgendo i provvedimenti presi, neanche due anni fa, dal governo Draghi che miravano a stabilizzare i lavoratori degli atenei cancellando l’assegno di ricerca in favore di un contratto a tempo determinato, con regolazione del salario e rapporto di lavoro in un vero Contratto nazionale.

NON CI SONO STATI DECRETI attuativi né finanziamenti e il contratto è rimasto una prospettiva, ora irrealizzabile. La bozza della riforma Resta-Bernini (dal nome dell’ex presidente della Crui, Ferruccio) prevede sei figure diverse, con trattamenti economici e tutele differenziate C’è una posizione dedicata agli studenti che si stanno laureando e che, a parità di costo, porterà nuovi oneri; due nuove figure per gli assistenti, junior e senior, che avranno borse di assistenza alla ricerca, un contratto post-doc per i dottorati e il professore aggiunto che potrà avere incarichi per sei anni, su diverse sedi. «Se con la normativa precedente si potevano fare massimo 10 anni di precarietà, già troppi, ora con il regime Bernini si arriverà, bene che vada, a 18 anni, sballottolati in giro per il mondo», spiega Davide Clementi dell’Associazione Dottorandi Italiani (Adi). «Hanno creato una babele di contratti che parla un’unica lingua, quella dello sfruttamento del ricercatore – continua Clementi – questo governo si ammanta della retorica dell’eccellenza ma mette chi studia alla mercé di contratti precarissimi, abolendo ogni tutela per i dottori di ricerca». Anche la rete 29 Aprile esprime preoccupazione: «In questo modo si istituzionalizza la vita da precario perché sappiamo che quando c’è la possibilità di adattarsi verso il basso il sistema si adagia sulle condizioni peggiori per i lavoratori» spiega il presidente Gianfranco Bocchinfuso, professore associato a Tor Vergata. Le associazioni di ricercatori e precari lamentano non solo di non essere mai stati consultati dalla commissione composta ad hoc da Berini ma temono anche il definanziamento che porterà alcune università di provincia a chiudere.

«IL SISTEMA UNIVERSITARIO andrà incontro allo sfacelo già dal 2026 se non verrà finanziato. Secondo le stime della Crui, l’80% dei bilanci degli atenei serve per pagare il personale ma questo non deve scaricarsi sulle mansioni precarie – nota ancora l’Adi -. È una lotta al massacro con chi ha raggiunto la stabilità tramite processi selettivi aberranti, che producono logiche bieche, e chi ancora deve entrare nella ricerca pubblica». I dati raccolti dalle associazioni confermano questa visione: solo il 9% dei dottori di ricerca diventa strutturato, il 91% di coloro che hanno terminato la gavetta con sacrifici personali, viene espulso dal sistema. «Sono entrato nel 2002, a 32 anni – racconta Bocchinfuso – e questo vuol dire molto dal punto di vista scientifico perché è tra i 20 e i 40 anni che si sperimenta, poi si acquisiscono esperienza e altre qualità, ma le rivoluzioni nella scienza si fanno assicurando ai giovani indipendenza, non mortificando la creatività con stipendi da fame».

PER DOTTORANDI e ricercatori la detassazione promessa dal governo per far rientrare i ricercatori dalle università estere non servirà perché «non esiste attrattività del sistema se non si viene pagati e non si viene considerati lavoratori ma schiavi», dice ancora Clementi. Sul sito dell’Adi vengono raccolte le storie come quella di Giovanni, fisico al quinto anno di assegno che lavora anche come cameriere per pagarsi la casa condivisa a Milano o quella di Giulio, importante archeologo che da 5 anni vive con borse dall’importo basso, lavorando 50 ore a settimana.

«ABBIAMO DECISO di diffondere un appello per estendere la lotta, anche se consapevoli che la condizione di ricattabilità dovuta al precariato limita la partecipazione sindacale e politica – scrivono -. In un ambiente così verticale, come l’accademia, è rischioso anche prendere posizione sulla guerra. Vogliamo svegliare le coscienze di chi vuole difendere le condizioni dei lavoratori della conoscenza dall’attacco di un ministero, finora assente, e di tutti i precari degli altri settori perché la lotta dei ricercatori si interseca con tante altre lotte per la dignità del lavoro».

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