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Ossessione migranti, patria e famiglia Ungheria oggi al voto

Ossessione migranti, patria e famiglia Ungheria oggi al votoBudapest, Viktor Orbán alla commemorazione della rivoluzione del 1848; sotto il manifesto elettorale di Gabor Vona leader di Jobbik – LaPresse

Alle urne Viktor Orbán verso il quarto mandato (il terzo consecutivo). Ma rispetto alle elezioni del 2014 sembra che il pavimento scricchioli in casa del premier, e le opposizioni prendono coraggio

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 8 aprile 2018

«Per noi l’Ungheria viene prima» è lo slogan del partito governativo Fidesz per queste elezioni, si vota oggi. Il primo ministro Viktor Orbán punta a ottenere il quarto mandato (il terzo consecutivo) al termine di una campagna elettorale tesa e vissuta all’insegna di un pesante scambio di accuse tra le forze politiche in campo. Particolarmente aggressiva e martellante quella del governo che in questi ultimi anni ha riempito il Paese con cartelloni che paventano l’arrivo di milioni di migranti musulmani pronti a invadere l’Ungheria e il resto dell’Europa. I migranti e George Soros sono diventati i temi centrali della campagna governativa che accusa tutta l’opposizione, quella di destra, liberale e di centro-sinistra, di essere manovrata dal magnate americano di origine ungherese per distruggere il Paese e consegnarlo al pericolo islamico con la complicità di Bruxelles.

Orbán veste i panni dell’unico uomo politico in grado di difendere la sua terra da questi pericoli e indica nell’opposizione l’agente, al soldo di poteri esterni, che coltiva sentimenti antipatriottici. Il premier si è sempre rifiutato di partecipare a un confronto diretto con i leader dell’opposizione, non li ha mai degnati di questa possibilità e ha preferito rivolgersi ai suoi connazionali, certo di conservare il loro appoggio.

Tutti i sondaggi sono concordi nel dare il partito Fidesz in netto vantaggio sui suoi avversari: si parla del 40-45% dei consensi contro il 19-20% di Jobbik che vuole farsi percepire ormai come partito conservatore ma moderato, il 14% dei socialisti in alleanza con Párbeszéd (Dialogo), il 7% dell’LMP (liberali verdi), il 6% di DK (Coalizione Democratica, il partito dell’ex premier socialista Gyurcsány), il 3% di Momentum e il 2,5-3% dei centristi di Együtt (Insieme). Diversi analisti, però, avanzano dei dubbi sull’attendibilità di queste indagini in quanto realizzate su campioni limitati, e fanno notare che un terzo degli elettori è contrario al governo e teme che il Paese venga spinto verso una deriva sempre più antidemocratica da un sistema autoritario che controlla la stampa, le procure, la Corte Costituzionale e la Corte dei Conti.

 

C’è effettivamente una parte di paese che vuole il cambiamento ma che manca di una rappresentanza politica strutturata e unitaria che dia voce a questo desiderio di svolta. Bisogna poi considerare che c’è un settore di elettorato stanco del clima teso che regna ormai da molto tempo in un paese sollecitato dal premier a stare costantemente all’erta perché il nemico che viene da fuori è in agguato e pronto a colpire grazie anche ai traditori della patria. Stanco di un sistema di cose negativo che sembra perpetuarsi. La conseguenza è l’assenteismo alle urne. I sondaggi riferiscono che due su tre aventi diritto affermano di andare a votare, e la bassa affluenza favorirebbe il Fidesz che può contare su una base solida di circa 2 milioni di votanti certi. Sempre secondo le indagini realizzate di recente, il 30-35% non saprebbe bene chi appoggiare. Bisogna capire chi riuscirà a convincere questo settore dell’elettorato e portarlo dalla sua parte: il governo, le opposizioni o il partito dell’astensione. Del resto c’è anche chi non vede un’alternativa al sistema creato da Orbán.

L’esecutivo si fregia del merito di aver ridato vigore all’economia; un’economia nazionale che cresce protetta dagli appetiti dei già citati poteri esterni. Di fatto, però, questa crescita deve molto ai fondi Ue grazie ai quali, in questi anni, si è svolta la gran parte degli investimenti interni. L’economia cresce, ma per chi? «Per pochi», dice László Kordás, leader dell’Maszsz, la principale confederazione sindacale ungherese. Non dimentichiamoci, poi, che oltre un quarto della popolazione è in notevoli ristrettezze economiche e a rischio di povertà. Se è vero che l’economia cresce c’è qualcosa che non torna sul piano della distribuzione della ricchezza prodotta. Gli squilibri sociali sono evidenti e chi sta peggio concepisce un disagio che non è più solo materiale, ma esistenziale nel senso più profondo del termine, e finisce col convincersi dell’impossibilità di un cambiamento, se non in peggio.

I fondi europei hanno consentito miglioramenti infrastrutturali e il recupero di aree cittadine, ma danno modo alle opposizioni di accusare il governo di aver gestito i medesimi in modo tutt’altro che trasparente. L’altra accusa è quella di aver preferito la Russia di Putin all’Europa dei valori democratici. Per Orbán Putin è l’esempio di come si possa governare bene in modo illiberale. Il premier di Budapest sostiene infatti che la democrazia non deve essere per forza liberale e che anzi, la democrazia illiberale è quella che interpreta meglio il presente e che, sola, può dare risposta al bisogno di sicurezza espresso dalle popolazioni in questi tempi di grande instabilità. Così capita che Steve Bannon consideri Orbán un «eroe di oggi» per questa sua rivoluzionaria visione politica.

Patria, famiglia, valori cristiani: il governo del Fidesz batte su questo. Certo, in particolare dalle elezioni del 2014 anche le opposizioni di centro-sinistra hanno approcciato la questione dell’attaccamento al Paese chiamando patriota chi si oppone al sistema di Orbán per riportare lo Stato danubiano su un percorso di crescita democratica. Rispetto ad allora sembra che il pavimento scricchioli in casa del premier, e pare anche che le opposizioni abbiano acquistato coraggio. Secondo alcuni analisti è lecito aspettarsi sorprese a dispetto dei sondaggi. Le elezioni di oggi sono per questo un po’ particolari rispetto a quelle di quattro anni fa. Qua e là si parla di esito non scontato del voto con argomentazioni dettate anche dalla speranza che qualcosa cambi. Se l’opposizione fosse unita sarebbe tutto un po’ più facile, invece la medesima soffre di una notevole mancanza di compattezza, e non è cosa da poco. Ne sapremo di più in serata.

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